di Dimitri Deliolanes
Lasciate rapidamente alle spalle le elezioni, agli inizi di ottobre il governo greco ha affrontato con ritmi veloci il dibattito sulla fiducia in Parlamento e in meno di una settimana è riuscito a superare la prova parlamentare senza sorprese, con 155 voti favorevoli su 300.
È iniziato così il secondo mandato governativo del leader di SYRIZA, profondamente diverso nei contenuti e nei toni da quello di gennaio. Ma con una prospettiva di grande stabilità, che potrebbe condurre all’esaurirsi dei quattro anni previsti della legislatura. Facilita molto questa prospettiva la disgregazione del fronte filo-austerità e in particolare del centrodestra di Nuova Democrazia, in cerca di un nuovo leader e di una nuova identità.
Ma anche le sfide che deve affrontare Tsipras non sono da poco. Nel biennio 2015-16 il governo deve affrontare una manovra pari a 6,4 miliardi. In aggiunta, l’architettura del nuovo Memorandum prevede che, nel caso in cui le entrate fiscali non corrispondano alle previsioni, ci dovrà essere un immediato intervento sull’IVA e sulle altre imposte al consumo in modo da mantenere ai livelli previsti gli avanzi primari.
Già lunedì 12 ottobre è arrivata ad Atene la squadra dei creditori (la “quadriga” pronta a trasformarsi in “quintetto” con l’aggiunta del rappresentante del Parlamento europeo richiesto dai greci) in vista dell’approvazione nel Parlamento ellenico di un nuovo pacchetto di misure, 48 in tutto, in gran parte concordate nel terzo Memorandum, quello sottoscritto il 13 luglio. L’approvazione di questi duri tagli è propedeutico a ogni ulteriore passo nel cosiddetto “programma di salvataggio”.
L’obiettivo di Atene è concludere la prima valutazione dei creditori entro ottobre, in modo da poter iniziare la tanto desiderata discussione sul debito e, contemporaneamente, concludere prima della fine dell’anno il processo di ricapitalizzazione delle banche greche con i 25 miliardi previsti, in modo da poter togliere al più presto i capital controls.
Per Tsipras è importante risistemare il settore bancario entro l’anno in corso, in modo da farlo con le attuali regole ed evitare i pericoli del bail in, che entrerà in vigore da gennaio [in base alla nuova direttiva europea, i salvataggi bancari non saranno più finanziati dallo Stato, bensì dagli istituti stessi, in prima battuta dagli azionisti, poi dai obbligazionisti e infine, se necessario, dai correntisti con deposti superiori ai 100.000 euro]. Ma, come egli stesso ha spiegato in Parlamento, è in gioco anche la possibilità di sfruttare al meglio quei 7 miliardi previsti dal Memorandum, più i 35 del pacchetto Juncker in favore dell’economia reale. L’obiettivo, ha spiegato il premier, è uscire nei mercati finanziari all’inizio del 2017, in condizioni radicalmente diverse dalla timida (e demagogica) uscita tentata dal governo Samaras nella primavera del 2014 (e prontamente acclamata da gran parte della stampa italiana).
Il nuovo pacchetto di misure imposto dalla troika sarà presentato quanto prima in Parlamento e comprende misure non facili. Il capitolo più delicato riguarda le pensioni. Tsipras ha scelto per questo ministero il costituzionalista Giorgos Katrougalos, coadiuvato da due viceministre: Theano Fotiou, che nel precedente governo ha gestito bene la legge sull’emergenza umanitaria, e la nota economista Rania Antonopoulou. Katrougalos ha annunciato in Parlamento di voler seguire le indicazioni dell’Ufficio internazionale del lavoro nel ripristinare i contratti collettivi (abrogati nel 2012) e nel preservare i diritti sindacali, ritenendo definitivamente fuori discussione la precedente richiesta dei creditori di permettere per legge i licenziamenti collettivi.
Sulle pensioni però la situazione ereditata dal governo di sinistra rimane estremamente difficile. L’aumento della disoccupazione (26,2 per cento al secondo trimestre) continuerà anche durante l’anno prossimo e il governo si è preso l’impegno di non indirizzare più del 10 per cento del PIL alle disastrate casse pensionistiche. Katrougalos in Parlamento ha parlato di tagli ma si è affrettato a specificare che non saranno “orizzontali” ma “ponderati”. Comunque, ha assicurato, le pensioni minime, quelle da 480 euro, non saranno toccate. Ci saranno tagli proporzionali solo a quelle che superano i mille euro. Ci sarà una forte limitazione dei pensionamenti anticipati e si confermerà la regola, finora rimasta sulla carta, dell’età pensionabile a 67 anni o con 40 anni di contributi.
Il piccolo contributo EKAS per le pensioni minime, che tanto clamore aveva sollevato presso i creditori, sarà sostituito da un salario sociale minimo, sulla falsariga delle misure già in vigore in favore delle famiglie senza reddito. In sostanza, si tratterà di una prepagata per poter fare alcuni tipi di spese e non altre. Ovviamente, anche con questi cambiamenti, il forte deficit delle casse, in via di unificazione, rimarrà per lungo tempo ancora. Il governo però è riuscito a respingere la pretesa dei creditori di ottenere il pareggio di bilancio già a fine anno.
Centrale è anche il settore della privatizzazione dell’energia elettrica, che il governo greco ha posto in termini molto diversi da quelli che lo hanno preceduto. Ci sarà un ampliamento della quota di mercato a disposizione dei privati fino a raggiungere, in un quadriennio, la metà, operazione che si calcola porterà circa tre miliardi nelle casse dello Stato greco. La società pubblica cederà anche una parte degli impianti di produzione a lignite, mentre non è escluso un aumento delle tariffe energetiche più vantaggiose per gli agricoltori e le industrie.
Bisogna segnalare a questo punto le difficoltà che sta incontrando la privatizzazione dei 14 aeroporti regionali. Le nuove condizioni imposte dal governo greco non sono piaciute al principale interessato, la società pubblica tedesca Fraport, che ha chiesto una nuova negoziazione. Il prezzo, 1 miliardo e 200 milioni, era superiore sia ai calcoli della troika (800 milioni) sia alle richieste del precedente governo di destra (950 milioni). Cambiava anche la formula giuridica e al posto della “cessione della proprietà” vi era una “cessione d’uso”, con diritti di veto in mano al potere pubblico. Ai tedeschi i cambi non sono piaciuti e quindi o ci sarà una rinegoziazione oppure una nuova offerta sul mercato. Ma il caso degli aeroporti, teoricamente chiuso già in primavera, è indicativo del nuovo clima che vige oramai nei rapporti tra Atene e i possibili acquirenti internazionali.
La parte del leone nelle misure da approvare al più presto appartiene al nuovo sistema delle imposte. Tsipras non nasconde di voler ottenere legittimazione popolare aumentando il gettito fiscale non tartassando i soliti noti, ma combattendo fino in fondo la scandalosa evasione. Una delle misure più spettacolari annunciate dal governo riguarda l’uso delle carte di credito e dei bancomat, che sarà incentivato in ogni settore, abbassando le tariffe bancarie e prevedendo addirittura sconti fiscali. I POS già esistenti si calcolano sui 400 mila, bisogna raddoppiarli al più presto.
Saranno inasprite le pene per chi non dichiara IVA, redditi o proprietà e facilitate le confische, anche di proprietà all’estero. Ci sarà una legge ad hoc per prolungare i termini di prescrizione della “lista Lagarde”, che ha già reso (ipoteticamente) più di due miliardi all’erario greco. Collegato con l’immunità fiscale degli oligarchi anche il progetto legge sulle frequenze radio e tv, già pronto nella scorsa legislatura ma non discusso a causa delle elezioni. In Grecia tutti sanno che i media oligarchici hanno goduto da sempre di un’immunità scandalosa in campo fiscale. Ora è giunto il momento di farli pagare.
Da ottobre è entrata in vigore l’IVA al 23 per cento nelle cinque isole più turistiche, mentre entro la fine dell’anno dovrà essere versata l’ultima tranche dell’odiosa tassa sugli immobili ENFIA, che Tsipras avrebbe dovuto abrogare ma non ci è riuscito. Gli introiti ammonteranno a più di 3 miliardi, anche se il governo ha provveduto ad abbassare il valore degli immobili a quelli attuali, molto più bassi di quelli del 2005, come aveva fatto in maniera truffaldina il governo di destra. Tsipras spera di riuscire a preparare per l’anno prossimo una nuova legge sugli immobili che distingua la villa a Mykonos dal quartiere proletario nei sobborghi di Atene.
Entro la fine di ottobre dovrà essere pronto, in modo da sottoporlo a Bruxelles e all’FMI, anche il piano di medio termine per il periodo 2016-18, che farà ammontare il costo complessivo di aggiustamento, a partire dal 2015, a 8,1 miliardi. Secondo i creditori, la ragioneria dello stato di Atene li ha già informati che ha provveduto a quantificare il costo delle nuove misure. Per il 2017 ammonteranno a 1.305 miliardi, equivalenti allo 0,7 per cento del PIL, mentre altri 435 milioni si prevede che siano inserite nella finanziaria del 2018.
Ma questa è la preoccupazione minore per Alexis Tsipras. Il premier greco è convinto, non a torto, che una volta risolto il problema del debito, ci saranno le condizioni per un nuovo negoziato, magari tra un anno o magari anche prima. Non è un mistero in Europa che questo terzo Memorandum continua sulla strada fallimentare della logica di “fare cassa subito”, già applicata nel periodo 2010- 14, con risultati disastrosi. Mentre alcune misure, come l’aumento dell’IVA in tutte le isole (caso unico in Europa) sono chiaramente punitive e avranno sicuramente un impatto recessivo.
Non è stato casuale il richiamo all’impegno francese in favore della permanenza della Grecia nell’eurozona che ha fatto pochi giorni fa il presidente francese Hollande nella sua visita al Parlamento europeo insieme con la cancelliera Merkel. Una volta digeriti dalla società le prime misure dolorose, spesso ingiuste e recessive, si porrà il problema di uscire una volta per tutte dal labirinto della crisi greca e dare risposte serie e costruttive. Sembra che si stia delineando oramai un fronte europeo capace di portare avanti una proposta di questo genere.
Tanto più che già l’FMI ha aperto un duro contenzioso con l’eurogruppo proprio sul piano per la Grecia. L’organismo della Lagarde insiste sulla necessità di “alleggerire” il debito greco che, nelle sue previsioni, l’anno prossimo toccherà il 206,6 per cento del PIL e non il 200,9 per cento come prevede il Memorandum. Nel 2020, secondo l’FMI, il debito continuerà a pesare sulla Grecia con il 182,5 per cento del PIL mentre il Memorandum lo calcola sul 174,5 per cento.
Ma l’“alleggerimento” promesso non avverrà senza costo. L’organismo internazionale contesta l’efficacia del piano europeo di luglio e insiste per una nuova serie di misure di austerità. Secondo Washington, infatti, l’anno in corso non si chiuderà con un avanzo primario dello 0,24 per cento, come previsto, ma con un disavanzo dello 0,5 per cento del PIL, pari ad un passivo di 900 milioni. Atene quindi deve stringere ancora di più la cinghia se vuole liberarsi di almeno la metà del debito.
Pubblicato su Sbilanciamoci! il 13 ottobre 2015.