di Paolo Fiore
Non è un segreto di Stato ma è come se lo fosse. Nessuno tocchi i derivati sul debito pubblico italiano. I derivati sono contratti il cui valore dipende (“deriva”) da altri strumenti finanziari. Sono sottoscritti tra gli Stati e le banche e possono essere utilizzati nei modi più disparati: dalla copertura del rischio alla speculazione. Anche l’Italia ne ha stipulati. E sono già costati cari: 16,95 miliardi di euro tra il 2011 e il 2014. Nessun paese europeo ha accusato perdite paragonabili.
Ma la perdita potenziale è ben più consistente: 42 miliardi di euro, che andrebbero pagati alle “controparti”. Cioè Banca Imi S.p.A., Bank Of America, Barclays Bank PLC, BNP Paribas, Citibank NA/London, Credit Suisse International, Deutsche Bank, Dexia Crediop S.p.A., FMS Wertmanagement, Creditanstalt, Goldman Sachs International, HSBC Bank PLC, ING Bank NV, JP Morgan Securities PLC, Morgan Stanley & Co. Int. plc, Nomura International PLC, Société Générale, The Royal Bank of Scotland PLC, UBS Limited e Unicredit Bank AG.
Il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan ha rassicurato: «Non c’è niente di cui preoccuparsi». Non ci sono prove di rischi imminenti. Anche perché chiunque abbia cercato di accedere ai contratti che regolano i derivati ha trovato porte blindate. Gli ultimi a ricevere un “no” sono stati dieci deputati del Movimento 5 Stelle. I parlamentari hanno fatto ricorso contro il ministero delle Finanze e chiesto alla Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi di poter consultare i termsheet (gli allegati che definiscono i dettagli – dalle commissioni ai costi – dei derivati).
“I portatori di interesse”
Un percorso iniziato a gennaio e terminato il 9 ottobre, con un rifiuto. Nonostante Laura Castelli, uno dei firmatari del ricorso, fosse convinta che «qualcosa si stesse muovendo». La Commissione ha blindato i derivati perché – come si legge nella decisione – i parlamentari «hanno a disposizione gli strumenti del sindacato ispettivo parlamentare». Cioè interrogazioni e interpellanze. Peccato che il governo abbia già risposto picche a un’interpellanza presentata in aula lo scorso 24 aprile. Un niet al quale i 5 Stelle hanno reagito con un esposto, consegnato alla Procura di Roma.
La Commissione «identifica i titolari del diritto di accesso con i soli soggetti privati portatori di un interesse qualificato e differenziato ad accedere a documenti amministrativi». I parlamentari non hanno quindi “interesse qualificato” a conoscere alcuni elementi che contribuiscono al debito pubblico italiano. E non lo sono neppure i giornalisti. Guido Romeo di Wired, ha provato ad accedere ai termsheet. Solita risposta: permesso negato. Ne è nata una petizione (#openderivati) che chiede a Padoan di «fare la cosa giusta» e pubblicare i contratti. E soprattutto un ricorso al TAR, che a breve dovrebbe pronunciarsi.
L’avvocato dello Stato Fabio Tortora difende il MEF. Ed evidenzia la mancanza “di interesse diretto”. Anche se «non c’è alcun atto che vieta la pubblicazione». Come spiega Ernesto Belisario, avvocato che assiste Wired ed è tra i promotori di FOIA4Italy, gruppo che spinge per l’approvazione del Freedom of Information (FOIA), il provvedimento che permetterebbe ai cittadini (tutti) di accedere agli atti della pubblica amministrazione con i limiti della privacy e della sicurezza nazionale. Non essendoci alcun divieto esplicito, «è tutta una questione di legittimazione».
La Commissione, continua Belisario, «non dice a chi sarebbe consentito l’acceso». Si limita a negare. Come ha fatto anche l’avvocatura dello Stato nella memoria difensiva consegnata al TAR: «Non appare possibile fornire un livello di dettaglio maggiore, in quanto la divulgazione di tali contratti avrebbe riflessi pregiudizievoli sulle attività in derivati, poiché determinerebbe uno svantaggio competitivo dello Stato nei riguardi del mercato. Inoltre, porrebbe in svantaggio competitivo anche le controparti stesse del Tesoro nei confronti degli altri operatori del mercato, pregiudicando in tal modo la disponibilità ad applicare condizioni favorevoli con ripercussioni negative sull’intera gestione del debito pubblico». In altre parole: i derivati sono top secret perché la pubblicazione condizionerebbe sia lo Stato che le banche agli occhi del mercato.
Una posizione che fa intuire quali sarebbero “i soli soggetti privati portatori di un interesse qualificato”: le banche. Che però, in quanto firmatari, conoscono già il contenuto dei contratti. E nonostante il fatto che la perdita potenziale riguardi risorse pubbliche: 700 euro per ogni cittadino italiano, neonati compresi.
In passato anche un membro del governo provò ad aprire una breccia: Mario Baldassarri, viceministro dell’Economia e delle finanze dal 2001 al 2006. Niente da fare. Il segreto resta custodito dai ministri dell’Economia e da Maria Cannata, dirigente del MEF per il debito pubblico dal lontano 2000.
Un banco di prova per il FOIA
Il governo Renzi è quindi in piena continuità con gli esecutivi precedenti. Con un però: Renzi è stato il primo presidente del Consiglio ad aver promesso un Freedom of Information Act.
Un impegno tale che Renzi decise di citare il FOIA nel suo discorso di insediamento, il 24 febbraio 2014. Non sarà «semplicemente il Freedom of Information Act, ma un meccanismo di rivoluzione nel rapporto tra cittadini e pubblica amministrazione tale per cui il cittadino può verificare giorno dopo giorno ogni gesto che fa il proprio rappresentante». «Senza FOIA», spiega Belisario, «la trasparenza non è un diritto di cittadinanza ma si esercita in esecuzione di un altro diritto». Nel caso dei giornalisti, ad esempio, quello di cronaca.
Il no reiterato pare scontrarsi con le promesse. Anche se, per la prima volta, proprio in questi mesi il FOIA è arrivato sul tavolo di Palazzo Chigi. Gli articoli 6 e 7 del disegno di legge sulla pubblica amministrazione aprono infatti a una «revisione e semplificazione in materia di pubblicità e trasparenza» e al controllo «sull’utilizzo delle risorse pubbliche». Si tratta di un disegno di legge delega. La palla è passata quindi al governo. Ma se l’affare derivati è un banco di prova, rischiano di sbiadire i colori accesi delle slide con le quali Renzi aveva celebrato il via libera della riforma.
Tuttavia, sottolinea Belisario, «non possiamo giudicare un provvedimento dai comportamenti precedenti. Il FOIA è fondamentale e va valutato solo quando sarà scritto il decreto» (entro marzo 2016). «Per questo sarà importante vigilare».
Pubblicato sull’Espresso il 12 ottobre 2015.