di Gabriella Sica
Un estratto da libro Cara Europa, che ci guardi (1915-2015), Cooper, in uscita a fine ottobre.
Migliaia di libri sono stati bruciati la notte del 10 maggio 1933, il più tristemente famoso dei roghi nazisti di libri, alla presenza di Joseph Goebbels, in piazza Opernplatz. Tra le migliaia di libri considerati pericolosi e bruciati c’erano, tra gli altri, Thomas Mann, Sigmund Freud e Albert Einstein, e poi il Remarque che aveva messo alla berlina la prima guerra mondiale e Heinrich Heine, i cui versi fulminanti, scritti quasi cento anni prima, sono ora incisi su un vetro trasparente con funzione di targa, a memoria dell’infausto evento: «Là dove si bruciano i libri si finisce per bruciare anche gli uomini».
Nel rogo erano finiti i libri di due scrittori ebrei austriaci, entrambi in esilio, Joseph Roth e Stefan Zweig. Sono amici e quando si incontrano parlano della persecuzione di cui soffrivano i loro libri, messi all’indice, bruciati o non pubblicati. Non immaginavano neppure quello che sarebbe successo.
I libri sono associati alla censura, e in passato si è spesso arrivati a bruciarli, come metafora primaria e convincente di idee da cancellare, prima di annientare gli autori di quelle idee. Quel fuoco annunciava già cupamente che la città di Berlino sarebbe andata tutta in fiamme, come la città di Troia. Bisogna stare sempre attenti e cogliere i messaggi reali che provengono da quanto accade intorno a noi, sapere interpretarli in tempo per prepararsi.
Spesso l’attacco alla cultura è una spia incontrovertibile di un degrado etico che prima o poi si ritorcerà sugli uomini. A Berlino i ragazzi dell’università, trascinati da feroci ordini, buttavano allegramente nel rogo i libri ma non immaginavano che era solo il segnale di un incendio ben più grande, quello della loro città e della loro vita.
I roghi d’ora in poi potrebbero bruciare non libri o biblioteche ma postazioni elettroniche e digitali, per improvvise mancanze energetiche o, chissà, per assalti di cyber-criminalità, con un vistoso effetto di risonanza nella psiche dei popoli. Atteniamoci per ora ai tagli eccessivi, in certi casi radicali, alla cultura in questi anni, cosa che non depone a favore né di una crescita né di una condizione civile di un paese. Potrebbero apparire piccole cose buone in tanta crisi eppure anche foriere, chissà, di tempi implacabili e più bui. A volte, instillare in tutti i modi e a tutti i livelli (editoriali, televisivi, universitari) l’idea che i libri siano tutti uguali o inutili (e dunque in quanto tali sostituibili con facilità e qualche astuzia o arroganza) non è troppo diverso dal mandarli al rogo.
Quando vanno a fuoco i libri o una biblioteca, l’oltraggio è inferto non solo alla cultura ma alle identità sepolte o emergenti di un popolo, alle sue ragioni identitarie, ai suoi testi fondanti. Quando si arriva a mandare al rogo i libri una civiltà è drammaticamente esaurita. Come forse è capitato nel mondo antico alla mitica Biblioteca di Alessandria, risorta da qualche anno.
Nella barbarie di ritorno dei nostri tempi globali, con scene che sembrano arrivarci dal Medioevo, sotto attacco sono direttamente i ragazzi e soprattutto le ragazze che hanno tra le mani i libri che vogliono studiare. E i prepotenti, i dittatori o gli aspiranti dittatori sanno che è quello l’unico vero e pericoloso strumento di emancipazione e di libertà. Non è un caso che la parola contraria a distruzione sia proprio istruzione. La guerra alla scuola è ancora una volta fondamentale nel progetto di una società di persone asservite e gregarie. Lanciano slogan terribili: «L’istruzione occidentale è peccato», oppure: «Le donne che leggono sono pericolose». Donne a cui si impedisce di andare a scuola, perché sanno che sarebbe un ostacolo per ottenerne la sottomissione o il possesso con la forza. Si ribella Malala che ne rivendica, ancora quasi bambina, l’importanza: «Prendiamo in mano i nostri libri e le nostre penne. Sono le nostre armi più potenti».
Chi legge è un eretico e un infedele. Mai si sarebbe potuto immaginare che un’università dove circolano ragazzi che non fanno niente di male se non studiare, cioè imparare e provare a capire, diventasse (a Garissa, in Kenia) un bersaglio di criminali assetati di potere che hanno fatto una carneficina in un luogo così altamente simbolico. Altri, come i talebani a Kabul, hanno ostacolato in tutti i modi le ragazze perché non andassero a scuola, fino alla lapidazione.
Fa male bruciare i libri che a volte sono vere frontiere di bellezza, brucia la bocca e gli occhi, brucia l’anima, mette a ferro e fuoco una civiltà, il computer si surriscalda, fa male la lingua, la fiamma oppressiva dei violenti sopraffattori. A volte, anche nelle libere città europee.