Bruxelles – Ora che i leader europei hanno dato il via libera all’accordo politico raggiunto tra Commissione europea e Turchia rimane un solo, non trascurabile, problema: ma l’accordo è stato raggiunto davvero? O si tratta solamente di una vaga dichiarazione d’intenti con scarse implicazioni concrete? Come già dopo la prima intesa tra Jean-Claude Juncker e Recep Tayyp Erdogan, la prospettiva, da Ankara e da Bruxelles, sembra essere molto diversa. La Commissione non ha dubbi: “Per noi da ieri sera c’è un accordo”, “gli ingredienti sono stati approvati e procediamo a pieno vapore”, assicura il portavoce della Commissione europea, Margaritis Schinas. Ma gli “amici turchi” (come non perde occasione di chiamarli Juncker), sembrano vederla molto diversamente.
Nessuna intesa è stata ancora raggiunta con l’Ue, i colloqui continuano, ha ribattuto il portavoce dell’Akp di Erdogan, Omer Celik, aggiungendo che l’apertura di nuovi capitoli del processo di adesione della Turchia all’Ue non possono essere oggetto di “corruzione politica”, visto che l’offerta dell’Europa arriva in cambio dell’aiuto turco sui rifugiati. L’Unione Europa si “è svegliata troppo tardi” sull’importanza che la Turchia può avere nel fermare il flusso di migranti dalla Siria, ha lamentato anche il presidente turco, Recep Tayyp Erdogan, che da Istanbul ha denunciato: “Quando il bambino Aylan è stato trascinato sulle rive di Bodrum, i Paesi europei, hanno iniziato a farsi delle domande. Va bene, ma da quanto tempo è che gridiamo e lanciamo appelli? In Turchia ora ci sono 2,2 milioni di siriani e 300mila iracheni”. Non esattamente i toni che ci si aspetterebbero dopo un accordo felicemente concluso. Il Paese è in piena campagna elettorale, e solo quando ci sarà un nuovo governo potranno esserci, forse, toni più calmi e riflessivi.
A ben guardare il testo del piano di azione congiunto tra Ue e Turchia, diffuso dalla Commissione, in effetti le cose sembrano ancora piuttosto fumose. Nel testo non c’è traccia di un impegno europeo a mettere sul tavolo i tre miliardi di euro di aiuti che Ankara ha chiesto come sostegno per il lavoro sui rifugiati. Per il 2016, spiegano fonti europee, l’impegno da parte della Commissione europea è di 500 milioni di euro e l’esecutivo comunitario si aspetta altrettanto dagli Stati membri. Per i due anni successivi si immagina lo stesso meccanismo, così da raggiungere i 3 miliardi che i turchi si aspettano. Il punto però non è stato parte dei negoziati di ieri e la Commissione non può certo garantire che le capitali saranno all’altezza delle attese (visto anche quello che sta succedendo con i finanziamenti per i Trust fund per Siria e Africa e per gli aiuti umanitari).
Ancora tutto da vedere anche cosa voglia dire “rivitalizzare” il processo di adesione della Turchia all’Unione europea. La Commissione ha proposto ai capi di Stato e di governo la riapertura di una serie di capitoli negoziali ma su questo non c’è stato accordo tra i Ventotto. Quindi come si tradurrà nella pratica quella che viene descritta come una ferma intenzione sia di Juncker che di Tusk è ancora lontano dall’essere stato definito.
Scomparsi anche i sei nuovi campi per l’accoglienza dei profughi di cui si parlava nella prima bozza di intesa. Il motivo, spiegano dalla Commissione, è che “ci sono ancora da 30 a 40mila posti liberi nei campi di accoglienza già esistenti”. Piuttosto, uno o due centri saranno trasformati in centri per l’espulsione dei migranti che non si vedono riconoscere il diritto di asilo, e in questo la Turchia sarà aiutata dall’Europa. Il nodo che interessa davvero all’Ue è però che i profughi già arrivati nel Paese non decidano di tentare di giungere sul nostro territorio e per questo, sono convinti a Bruxelles, è fondamentale che Ankara faccia in modo di coinvolgere i rifugiati nel mercato del lavoro e di permettere ai loro figli di andare a scuola.
Difficilmente traducibile nella pratica anche la promessa di Bruxelles di accelerare sulla liberalizzazione dei visti con la Turchia. Il processo in questo campo è lungo e farraginoso. Si articola su cinque blocchi: il primo è la sicurezza dei documenti, poi c’è quello sulla gestione dell’immigrazione per cui il Paese deve soddisfare 28 esigenze (dalla gestione delle frontiere, al perseguimento dei trafficanti). Terzo pesante blocco è quello relativo alla sicurezza (21 esigenze da rispettare) con tutte le questioni legate a terrorismo, corruzione, protezione dati. E ancora il Paese deve dimostrare di essere in linea con l’Ue sui diritti fondamentali (9 criteri) e sulla riammissione dei migranti irregolari (ben 70 esigenze da soddisfare). Insomma è chiaro che il percorso non sarà una passeggiata e che i tempi, nonostante le garanzie di Bruxelles, potrebbero essere tutt’altro che rapidi.