Bruxelles – La costa italiana o quella greca, così come il confine ungherese, non sono soltanto confini di uno Stato membro: sono frontiere dell’Unione europea e come tali vanno gestite. Dalla riunione dei capi di Stato e di governo che si incontreranno giovedì e venerdì a Bruxelles dovrebbe arrivare forte sostegno politico ad un’idea più volte espressa ma mai tradotta in fatti: serve un sistema integrato a livello europeo per la gestione dei confini esterni. Ora si dovrebbe accelerare davvero con i leader Ue che, secondo la bozza di conclusioni della riunione, esprimeranno pieno sostegno all’idea di rafforzare il mandato di Frontex fino a creare una vera guardia di frontiera e costiera europea. In particolare si parla di “squadre di intervento rapido” da dispiegare quando in uno Stato membro si constati il bisogno di una “azione robusta e tempestiva”. Ma occorre migliorare anche la gestione “ordinaria”: i leader sottolineeranno l’importanza di elaborare soluzioni “tecniche”, facendo “pieno uso degli sviluppi tecnologici” così da non ostacolare la libera circolazione e facilitare i viaggi. I leader Ue, insomma, anticiperanno da ora il sostegno alla proposta sulla creazione di una guardia frontiera europea che dovrebbe essere presentata dalla Commissione europea entro la fine dell’anno.
Se da un lato si punta molto su una migliore difesa delle frontiere esterne, vista come condizione essenziale per la sopravvivenza della libera circolazione interna garantita da Schengen, dall’altro si lavora sugli accordi con i Paesi terzi. Il Consiglio dovrebbe anche concordare sulla necessità di “esplorare le possibilità di sviluppare capacità di ricezione sicure e sostenibili” nelle regioni colpite. Ovviamente si parla dei Paesi sicuri della regione, a partire dalla Turchia che, secondo la prima bozza di accordo proposta da Jean-Claude Juncker a Recep Tayyp Erdogan, dovrebbe costruire sei nuovi campi profughi. In cambio l’Ue si impegna ad “aumentare sostanzialmente il suo impegno politico ed economico” nei confronti del Paese: ad Ankara dovrebbe andare un miliardo di euro.
Con gli altri Paesi terzi, soprattutto quelli africani, si lavora ad ottenere una migliore collaborazione sui rimpatri. Il tema sarà sul tavolo del summit di Valletta in programma 11 e 12 novembre ma il principio, concordato nel corso dell’ultima riunione dei ministri degli Interni dei Ventotto, sarà quello del “more per more” e cioè: più collaborazione sui rimpatri più aiuti allo sviluppo. Nuovo ruolo sulla questione rimpatri dovrebbe avere Frontex, l’agenzia Ue per il controllo delle frontiere, al cui interno sarà creato un “ufficio ritorni” per supportare gli Stati membri. Il mandato di Frontex dovrebbe arrivare ad includere anche la possibilità di organizzare di propria iniziativa operazioni di ritorno congiunte da più Stati membri. Ma gli sforzi per una efficace politica dei ritorni e per “la prevenzione dell’immigrazione illegale” andranno di pari passo, chiariranno i leader, con “un chiaro impegno per possibilità di immigrazione legale”.
Sul fronte interno, invece, i capi di Stato e di governo nel corso del summit insisteranno perché “si proceda con l’istituzione degli hotspot nei tempi stabiliti”, tirata d’orecchie per l’Italia ma soprattutto per la Grecia, più indietro del nostro Paese nella creazione di centri che “smistino” i migranti stabilendo quali hanno diritto alla protezione internazionale e quali no. Per migliorare le procedure sono già state stabilite nuove assunzioni di esperti per le agenzie Ue (Frontex ed Easo) che supporteranno gli Stati membri in questa fase. Dopo la prima ricollocazione di 19 eritrei dall’Italia alla Svezia avvenuta la scorsa settimana, ora bisogna “procedere rapidamente verso la piena applicazione delle decisioni sui ricollocamenti”, sottolineerà il Consiglio. Da trasferire da Italia e Grecia verso gli altri Paesi Ue in via “emergenziale” ci sono 160mila persone, ma si rimanda per ora la spinosa questione di un meccanismo permanente di ricollocamento che scatti ogni qualvolta uno Stato membro si trovi sotto pressione.
Sullo sfondo rimane anche la definizione della lista di Paesi sicuri, quelli in cui i migranti irregolari possono essere rimandati. A dividere è l’inclusione o meno della Turchia nell’elenco: Erdogan, per una questione di immagine, tiene fortemente a che il suo Paese figuri tra quelli sicuri e d’altra parte è difficile chiedere ad Ankara uno sforzo pari a quello che l’Ue sta chiedendo, bollando poi lo Stato come non sicuro. Ma alcuni Stati, Germania in testa, sono contrari a passare sotto silenzio la questione curda e includere Ankara tra gli Stati che non destano preoccupazioni. Ma il tema non dovrebbe essere all’ordine del giorno della riunione di questa settimana.