Roland Süß è coordinatore per il sud della Germania di ATTAC, una delle organizzazioni che ha promosso la grande manifestazione di sabato scorso a Berlino contro il Trattato di libero scambio tra Ue e Usa.
Iniziamo a conoscerci,che cos’è ATTAC e di cosa si occupa?
ATTAC è una rete di persone autorganizzate scettiche nei confronti della globalizzazione. Vede la luce in Francia e nel 2000 nasce la prima formazione tedesca. ATTAC non è contro la globalizzazione tout court ma contro questa idea di globalizzazione, che sostiene un trattato (TTIP ndr) che condurrà a una maggiore liberalizzazione, deregolamentazione del mercato e privatizzazione, tutte misure che non andranno a favore della popolazione ma piuttosto alle imprese.
Noi sosteniamo che il TTIP condurrà ad una spaccatura sempre più grande nella società, che sarà sempre meno in grado di auto-organizzarsi e di mantenere le proprie strutture sociali autonomamente.
Quali sono a suo parere i punti più controversi del trattato?
È chiaro che si possono prendere punti singoli sui quali si può discutere nello specifico, in generale noi rifiutiamo in toto questo trattato perché segue l’ideologia del libero mercato.
Ci sono alcuni settori chiave sui quali il TTIP andrà ad impattare: in Europa e negli Stati Uniti abbiamo standard completamente diversi, in Europa, ad esempio, esiste il “Principio di precauzione” (politica di condotta cautelativa per quanto riguarda le decisioni politiche ed economiche sulla gestione delle questioni scientificamente controverse ndr), che a causa del TTIP sarebbe a rischio. Le faccio un esempio: per commercializzare un prodotto alimentare all’interno dell’UE va dimostrato che questo non sia pericoloso o tossico, negli Stati Uniti il meccanismo è completamente differente, infatti, lo stesso processo si applica per ritirare un prodotto dal mercato, ovvero dovrà essere dimostrato che questo prodotto è tossico o arreca danni alla salute degli individui per chiederne il ritiro.
Esistono inoltre altri ambiti dove il potere degli investitori sarà via via sempre più forte: innanzitutto la possibilità per un’impresa di far causa contro gli stati sovrani per perdita di profitto.
Stiamo parlando dell’ISDS(Investor-State-Dispute-Settlement)?
Si! Questo strumento regala alle aziende un diritto unilaterale, al di fuori del sistema comune dei diritti. È un diritto concesso solo alle imprese e non agli stati, non è prevista ad esempio la possibilità di intentare causa ad un’impresa per la sua responsabilità sociale in tema ambientale o dei diritti dei lavoratori.
Il trattato, infatti, sostituisce gli accordi precedenti e scavalca le leggi degli stati sovrani, la Costituzione e le altre leggi ordinarie. Risulta evidente, quindi, che tra le due parti la vincente è sempre quella degli investitori e non degli stati sovrani. Inoltre il trattato, nel punto relativo all’ISDS, stabilisce una serie di procedimenti inerenti solo allo scambio merci. Non c’è spazio per la definizione di standard sociali, ambientali e ai diritti degli esseri umani. Si tratta solo di argomenti economici ed è per questo che siamo profondamente contrari alla creazione di questo arbitrariato internazionale.
Per finire i lobbisti e le aziende verrebbero coinvolti nella stesura di nuove leggi, a volte addirittura prima della discussione in parlamento. Significa che sostanzialmente avranno il diritto di legiferare. Le imprese hanno già un rapporto molto stretto con i partiti politici, ma cosi avranno un diritto garantito e questo è un chiaro comportamento antidemocratico che fortificherebbe ancora di più il loro potere.
Si parla molto della libertà di movimento per i lavoratori all’interno dell’area di libero scambio, lei non crede che questo possa essere un incentivo per l’occupazione?
Penso che non ci sia niente da dire contro la libertà di movimento dei lavoratori all’interno dei paesi aderenti al trattato, già possono muoversi liberamente in Europa. La domanda vera è, piuttosto, dove sono questi posti di lavoro? Tanti lavoratori sono costretti ad emigrare per trovare un lavoro.
Nei paesi mediterranei, come Spagna, Grecia, Portogallo e Italia c’è una disoccupazione tale che sempre più individui decidono di emigrare per cercare lavoro e non si fermano più all’interno dei confini europei, ma allargano sempre di più il proprio orizzonte. La libertà di movimento per i lavoratori non può essere una soluzione.
Rimanendo sul tema lavoratori, crede che ci saranno cambiamenti sostanziali nel mercato del lavoro?
Le faccio un esempio, il NAFTA, che esiste ormai da 20anni. Il trattato ha fatto in modo che si aprissero i mercati e che, ad esempio, i piccoli contadini in Messico venissero minacciati dal libero mercato con conseguente fallimento delle loro piccole aziende, mentre i grandi investitori agricoli americani dominavano il mercato agricolo.
Dall’altro lato, si potrebbe pensare che siano stati creati molti posti di lavoro negli USA, ma anche questo non è vero, perché le grandi strutture agricole non hanno bisogno di tanti lavoratori. Il risultato è stato che anche negli Usa è diminuita l’occupazione nel settore agricolo. Altro punto essenziale è stato quello dei salari, infatti, a causa della apertura dei mercati c’è stata una forte pressione al ribasso e quindi il NAFTA ha condotto sostanzialmente ad una riduzione del salario medio. Inoltre se diamo uno sguardo agli ultimi anni vediamo che la forbice si è dilatata sempre di più, che, l’ideologia neoliberista ci ha portato ad avere molti posti di lavoro precari e a basso salario.
Come influirà questo trattato sul mercato dei medicinali?
Questo tema si lega di nuovo al principio di precauzione. La federazione della industria chimica ha detto tempo fa che in Europa esistono degli standard elevati per l’introduzione di nuovi medicinali e questa sarebbe una discriminazione delle imprese europee perché devono rispettare degli standard molto rigidi che negli U.S.A. non esistono, soffrendo un notevole svantaggio. Il vero problema è che questo adeguamento degli standard porterebbe ad un gioco al ribasso, ma abbassare gli standard vuol dire intaccare i diritti, per i quali a volte abbiamo dovuto combattere. Quelli per noi sono diritti inalienabili, per le grandi corporations sono costi aggiuntivi che non vogliono avere e cercano di abolirli attraverso questi trattati.
Perché all’inizio il contenuto di questo trattato non era molto chiaro?
Ci sono pareri distinti in merito, dalla trattativa uscivano delle voci come: “dobbiamo agire molto velocemente e in segreto perché se dovessero arrivare al pubblico le conclusioni di questo trattato, diventerà difficile portarlo a compimento. Ci sarà dissenso e questo lo vogliamo evitare”, questa era la strategia.
In effetti avevano ragione, la protesta si è evoluta molto velocemente, oggi qui a Berlino ci sono 250.000mila persone per le strade e un paio di giorni fa c’è stata l’iniziativa europea dei cittadini che ha dimostrato che più di 3 millioni di persone sono contro il TTIP. Non è vero che solo in Germania le proteste sono cosi grandi. In questa iniziativa (petizione popolare europea contro il TTIP ndr) è stato raggiunto il quorum in 23 paesi, quando ne bastavano solo 7. Questa è la dimostrazione che il malcontento è cresciuto a livello europeo.
In Italia il tema del TTIP non è sentito come in Germania, a cosa è dovuto secondo lei?
Penso che nei paesi del sud dell’Europa quello che sembra per noi un pericolo da loro è già realtà. Inoltre, credo che noi abbiamo una rete capillare di organizzazioni che si sono sempre confrontate con la politica commerciale. Ricordo ancora quando abbiamo costituito ATTAC, cerano movimenti molto forti, per esempio Genova…Genova è stato il motore per la crescita di ATTAC. Credo che sia molto importante collegare la tematica del TTIP con la politica dell’austerità e con la Troika, così da poter unire i movimenti del nord e quelli del sud dell’Europa. Questo potrebbe essere un compito per ATTAC e altre organizzazioni della società civile.
Ritiene che l’insieme di queste azioni porterà nel medio termine ad una manifestazione di protesta a Bruxelles con le delegazioni di tutti gli stati?
Senza dubbio! È già stato presa in considerazione. Il movimento dovrà necessariamente andare in questa direzione. Per questo è veramente importante unire la tematica del TTIP a quella dell’austerità. Forse è solo così che potremmo mettere in discussione la politica della Commissione Europea. Già questa settimana ci saranno marce verso Bruxelles contro la politica dell’austerità e il TTIP. Non avranno la stessa partecipazione di oggi, ma è un inizio e dobbiamo continuare a pensare in questa direzione.
(Traduzione a cura di Nora Häcker)