Bruxelles – Redistribuire i rifugiati tra i Paesi d’Europa non ha alcun senso se, nel frattempo, non si capisce anche come espellere dall’Ue chi rifugiato non è, e quindi non ha il diritto di rimanere. Ne sono convinti i ministri degli Interni dei Ventotto che, riuniti oggi a Lussemburgo, hanno lasciato per il momento da parte la spinosa questione quote per imprimere un giro di vite che renda la vita più difficile ai migranti irregolari. Diventa dunque centrale un sistema di rimpatrio che funzioni veramente, differentemente da quanto avviene oggi, con appena il 40% di quelli giudicati “migranti economici” che fanno effettivamente ritorno nel Paese di origine. “L’Ue e i suoi Stati membri devono fare di più in materia di rimpatrio” perché “tassi di rimpatrio più elevati dovrebbero fungere da deterrente per l’immigrazione irregolare”, mettono nero su bianco i membri dei governi europei.
Per raggiungere questo obiettivo “gli Stati devono sistematicamente emettere decisioni di rimpatrio, adottare tutte le misure necessarie per la loro esecuzione”, esortano i ministri. Tra queste anche la detenzione dei migranti in luoghi chiusi per evitare che, come spesso accade, fuggano per sottrarsi al rimpatrio: “Occorre adottare tutti i provvedimenti atti a garantire il rimpatrio dei migranti irregolari, compreso il trattenimento come misura legittima di ultima istanza”, scrivono i ministri. Ma gli Stati non saranno lasciati completamente da soli in questo compito. All’interno di Frontex sarà creato un apposito “ufficio rimpatri”, mentre dal punto di vista economico il Fondo asilo, migrazione e integrazione “sosterrà in modo sostanziale le attività di rimpatrio degli Stati membri che prevedono di destinare più di 800 milioni di euro al rimpatrio nei programmi nazionali per il periodo 2014-2020”.
Ma per un’efficace politica dei ritorni, cruciali sono i rapporti con i Paesi di origine che devono collaborare riammettendo i migranti espulsi dal territorio europeo. Cosa che spesso non accade. Per questo il Consiglio chiede a Commissione e Alto rappresentante di “avviare rapidamente dialoghi bilaterali per rafforzare la cooperazione pratica con tutti i pertinenti Paesi di origine e di transito”. A questi bisogna chiarire che “la riammissione dei propri cittadini è un obbligo a norma del diritto internazionale consuetudinario e che tutti gli Stati devono attenersi a tale obbligo”. La politica è quella del “more for more” e cioè “più progressi, più aiuti”, stabilendo un chiaro legame tra la collaborazione nei rimpatri e gli aiuti allo sviluppo. “More for more non vuole dire less for less”, chiarisce Asselborn, spiegando che “non si arriverà a soluzioni di medio e lungo termine con i Paesi africani attraverso sanzioni”. Piuttosto si deve immaginare di aiutare i Paesi che collaborano ai ritorni ad esempio con la formazione delle persone che fuggono perché non hanno prospettiva: “Un approccio difendibile eticamente e politicamente.
“Abbiamo una strategia molto chiara: da ora i rimpatri devono essere effettuati dall’Europa”, spiega il ministro dell’Interno italiano, Angelino Alfano. “Dobbiamo dire chiaro e tondo ai Paesi africani che noi come Europa diamo i soldi della cooperazione internazionale solo se loro ci aiutano. Dobbiamo dirgli: dai vostri Paesi partono migranti irregolari, quelli dovete evitare che partano, se partano ve li rimandiamo e se voi non ci aiutate noi non vi diamo i soldi”, sintetizza il ministro. “Questa – è convinto Alfano – è la strada vincente anche perché se funzionerà ci sarà effetto di disincentivo che farà capire a tanta gente che vuole partire che non deve farlo”.
Una politica dei rimpatri va però coniugata con un’efficace protezione dei confini esterni, per consentire solo a chi ne ha il diritto di entrare in Europa. Per questo si è stabilito di aumentare gli esperti europei che lavorano su questo versante. In tutto si parla di 670 persone in più contro le 50-70 che sono oggi al lavoro. Andranno in maggioranza ad ingrossare le file di Frontex, ma 99 saranno invece destinati all’Ufficio europeo di supporto all’asilo (Easo) per compiti di prima accoglienza, primi interventi e interpretazione. Ma più nel lungo termine, sul versante protezione confini esterni, l’obiettivo della Commissione è quello di arrivare alla creazione di una guardia di frontiera europea. La proposta dovrebbe arrivare entro fine anno e da parte degli Stati non paiono esserci grosse obiezioni: “Il 99% di Paesi è d’accordo sull’investire di più nella gestione delle frontiere esterne, perché tutti sanno che se non sono gestite bene e il caos continua, sarà la fine del sistema Schengen”, sottolinea Jean Asselborn, ministro degli Esteri del Lussemburgo, Paese che detiene la presidenza di turno dell’Ue.
Altro dibattito avviato ma ancora lontano dall’essere concluso è quella sulla lista dei Paesi di origine sicuri, quelli in cui i migranti irregolari possono essere rimandati. Tutti concordano sulla necessità di averne una, ma a dividere c’è l’eventuale inserimento della Turchia in questa lista. Per alcuni Stati, Germania in testa, è sbagliato ignorare completamente la questione curda e dichiarare il Paese sicuro. Lo stesso si teme potrebbe fare il Parlamento, nel momento in cui si troverà ad approvare uno strumento legislativo in cui la lista includa Ankara. Per questo si sta studiando un modo per non rimanere impantanati, prevedendo un documento di carattere generale in cui si dice che la lista esiste dall’elenco vero e proprio.