La Catalogna sta per imbarcarsi in un’avventura straordinaria. Il governo che emerge dalle elezioni autonome del 27 settembre si impegnerà a dare il via a 18 mesi di processo unilaterale di separazione dalla Spagna. È un salto nel vuoto da qualsiasi prospettiva lo si veda, una misura della disperazione (alcuni la chiamerebbero determinazione) che tanti Catalani, provenienti da diversi partiti politici, classi ed ideologie provano come risultato del fallimento di Madrid nel riconoscere le loro lamentele. Le complicanze che tale processo può provocare in termini di appartenenza all’UE e all’Euro, relazioni internazionali, difesa e così via sono parecchie. Per aggiungere un’altro elemento di incertezza, la configurazione politica in Spagna probabilmente cambierà drasticamente dopo le elezioni del 20 dicembre, in modi che pochi sono in grado di prevedere.
I partiti per l’indipendenza hanno indetto le elezioni (regionali) autonome come elezioni plebiscitarie mirate a delineare la relazione fra Catalogna e Spagna. Due dei tre principali partiti della Catalogna, Convergència Democràtica de Catalunya (CDC) e Esquerra Republicana de Catalunya (ERC), si sono riuniti in un unico gruppo, Junts pel Sí (Uniti per il Sì), senza però chiarire quale programma potrebbero adottare oltre all’indipendenza, in parte perché occupano diversi terminali dello spettro ideologico.
Per definizione, un plebiscito, come un referendum, chiede ai votanti di scegliere fra due opzioni di importanza costituzionale. In queste elezioni un voto per un partito o una combinazione di partiti è stata inquadrata dai partiti indipendenti come un voto pro o contro l’indipendenza. Privo del diritto costituzionale di indire un referendum, il governo Catalano ha usato le elezioni autonome, così come aveva usato la ‘consultazione popolare’ nel Novembre 2014 (dichiarata poi incostituzionale dalla Corte Costituzionale), per raccogliere l’opinione nazionalista e dimostrare al resto della Spagna che i Catalani vogliono formare il loro Stato.
Junts pel Sí ha vinto 62 seggi su 135 nel Parlamento Catalano, e il 39,57% dei voti. Assieme ai 10 voti vinti da Candidatura d’Unitat Popular (CUP), piccolo partito separatista e anti-capitalista, che ha corso da indipendente, hanno ottenuto 72 seggi ma solo il 47,8% dei voti.
Qualsiasi referendum o plebiscito necessita della maggioranza dei voti, mentre un’elezione si vince attraverso l’ottenimento della maggioranza dei seggi. Basandosi su questa ambiguità procedurale, Junts pel Sí asserisce che i partiti separatisti hanno ottenuto il mandato popolare per preparare la Catalogna all’indipendenza. Eppure il CUP ha sempre insistito sul fatto che questo mandato deve essere legittimato da una maggioranza di voti. Dato che l’equilibrio di potere in Parlamento sta nelle sue mani, il CUP cercherà di ottenere qualcosa in cambio del sostegno parlamentare del nuovo governo, se non l’inclusione nello stesso, inclusa la richiesta che l’attuale Presidente e leader del CDC, Artur Mas, responsabile di aver applicato privatizzazioni e misure di austerità in Catalogna, non debba essere il capo del governo. Già spaccati da differenze programmatiche, i due partiti di Junts pel Sí dovranno negoziare queste richieste per poter formare una nuova amministrazione.
Partiti che rappresentavano distretti culturali e politici molti diversi sono stati invece accusati di essere contrari al movimento indipendentista. Il risultato più sorprendente è stato quello che ha ottenuto Ciutadans (Cittadini, Ciudadanos in Spagnolo) partito di centro-destra relativamente nuovo, che ha vinto 25 seggi, con il 17,91% dei voti, il che lo rende il principale partito di opposizione del nuovo Parlamento Catalano. Ciutadans ha vinto in modo netto presso i votanti disincantati dei partiti del centro e del centro-destra, principalmente la branca catalana del Partito Popolare, che ha ottenuto l’8,5% dei voti, il secondo peggior risultato di sempre.
Ha quasi certamente assorbito i voti moderati del CDC, dopo che Mas si è accodato al treno separatista. Il conservatorismo catalano è sempre stato piuttosto ambiguo sulla sua relazione con la Spagna, usando il “Catalanismo” come merce di scambio per ottenere più autonomia dallo stato Spagnolo. Ciutadans è anche riuscito a superare il Partito Socialista Catalano (PSC), che però con i suoi 16 seggi, o 12,72% dei voti, è riuscito a tenere meglio di quanto pronosticassero i sondaggi d’opinione. Chiaramente colpito dalla polarizzazione della campagna sulla questione identitaria, il gruppo della sinistra, Catalunya Sí que es Pot (Catalonia Yes it Can), che include Podemos e fa campagna attorno alla politica di classe più che sull’identità, ha ottenuto solo l’8,93% dei voti, pur sostenendo il diritto all’auto-determinazione.
Il tasso di partecipazione elettorale, pari al 77%, è senza precedenti, il più alto mai registrato per le elezioni autonome catalane, sia fra i distretti che già prima sostenevano l’indipendenza sia fra quelli che non lo facevano. Nella cosiddetta ‘cintura rossa’ di Barcellona (cinturón rojo), dove generazioni su generazioni di immigranti spagnoli si sono trasferiti e dove il senso di doppia nazionalità è più forte, hanno votato più elettori di sempre. Qui, sembra che Ciutadanas sia riuscito ad infiltrarsi all’interno di un voto tradizionalmente socialista.
Il livello relativamente alto di votanti è stato la conseguenza del l’intenso grado di
polarizzazione della campagna elettorale. Come nel referendum scozzese, i partiti nazionalisti di destra e di sinistra, sostenuti da una gamma di politici di peso, banchieri e leader d’affari, si sono alleati nel tentativo di persuadere i Catalani a votare per rimanere in Spagna. Istituzioni come banche spagnole ed organizzazioni imprenditoriali (inclusi il Catalan Foment e il Círculo de la Economía) hanno dipinto un quadro a tinte fosche di una Catalogna indipendente. Il governo Spagnolo ha diffuso avvisi sempre più acuti sugli effetti dell’indipendenza sulla Catalogna e sulla Spagna. Nel 2012 un colonnello dell’esercito aveva addirittura emanato velate minacce di intervento militare.
Da parte sua,il movimento indipendentista ha mobilizzato la politica dell’identità su tutto, definita non tanto in termini linguistici o etnici, quanto in termini di cittadinanza, una forma di nazionalismo civico. Ha tentato di canalizzare le lamentele all’interno della politica nazionale piuttosto che in quella di classe. E la sua campagna per l’indipendenza ha catturato l’immaginario di milioni di elettori. È stato in grado di lanciare manifestazioni dalle coreografie ingegnose, le più grandi mai viste in Europa negli ultimi anni. La campagna è stata sostenuta da numerose organizzazioni volontarie che hanno schierato strumenti sofisticati di marketing e social media nelle mani di giovani professionisti che lavoravano gratis e raccoglievano soldi attraverso il crowd funding. Il suo messaggio principale è stata una narrativa di vittimizzazione nazionale da parte del governo conservatore Spagnolo attraverso blocchi costituzionali e ridistribuzione di ricchezza dalla Catalogna al resto della Spagna.
L’identità catalana e lo stato spagnolo
In ogni caso, una narrativa storica delle differenze culturali ed istituzionali con la Spagna gioca un ruolo cruciale nell’identità di molti catalani. I precedenti a favore dell’autonomia e dell’indipendenza risalgono al Medio Evo, quando la Catalogna era parte intrinseca della Corona di Aragona, che fu unita alla Corona di Castiglia nel 1492 per formare il regno unito di Spagna.
Fino al 1714, la Catalogna ha goduto di una alto livello di autonomia dalla monarchia spagnola. Il suo sostegno alla monarchia degli Asburgo nella Guerra Spagnola di Successione ha fatto sì che la dinastia vittoriosa dei Borbone togliesse alla regione i suoi diritti, integrandola in una Spagna centralizzata. Sotto la Repubblica Spagnola del 1931-1939, la Catalogna riconquistò la sua autonomia solo per essere soggiogata brutalmente da 49 anni di dittatura franchista. L’autonomia catalana fu restaurata nel 1978 nella nuova democrazia, ma i rapporti fra Madrid e la Catalogna iniziarono ad inasprirsi come risultato delle lamentele comparative, in particolare riguardanti i contributi maggiorati da parte della Catalogna al resto della Spagna a causa del meccanismo di redistribuzione.
Forse la lamentela maggiore degli ultimi anni è stata quella concernente il relativo fallimento dei tentativi da parte del governo catalano di approfondire il processo di autonomia attraverso la rinegoziazione del suo Statuto di Autonomia. I negoziati con il governo socialista guidato da Zapatero hanno portato ad un nuovo Statuto nel 2006, che ha dichiarato che la Catalogna è un nazione e che ha conferito nuovi poteri alle istituzioni dell’indipendenza catalana.
Lo Statuto è stato approvato sia dal Parlamento Catalano sia dal Parlamento Spagnolo, così come da un referendum indetto in Catalogna. Il conservatore Partito Popolare (PP) ha però contestato un certo numero di clausole dello Statuto e la Corte Costituzionale ha dichiarato nel 2010 che essere erano incostituzionali, in particolare il riferimento alla Catalogna come ad una nazione. La prima massiccia dimostrazione a favore dell’indipendenza si è tenuta poco dopo, nel 2012.
Probabilmente più di ogni altro fattore, questo rifiuto da parte della Spagna di contemplare qualsiasi cambiamento nelle sue relazioni con la Catalogna sta alla base dell’intensificazione dei movimenti per l’indipendenza. Il governo guidato dal Partito Popolare non è riuscito a rispondere alla sfida posta dalla Catalogna. Né ha fatto molti tentativi per corteggiare i nazionalisti catalani attraverso appelli ad un patrimonio comune, come ad esempio Gordon Brown ha fatto per la Scozia. Secondo il famoso giornalista di El Pais, anch’egli contrario all’indipendenza catalana, Iñaki Gabilondo, questa inazione rappresenta il più grande fallimento della democrazia spagnola dal 1977.
Ben lontano dal cercare un qualche tipo di accordo con il nazionalismo catalano, lo stato spagnolo ha invece cercato di bloccare ogni sua iniziativa dal 2010 in poi. La sua ultima mossa è stata accusare Artur Mas e due dei suoi ministri di ‘disobbedienza’ e ‘appropriazione indebita’ dopo che il governo catalano ha proseguito nell’indire una consultazione in tutta la Catalogna sull’indipendenza il 9 novembre 2014, nonostante la sua sospensione da parte della Corte Costituzionale.
Altre lamentele riguardano le politiche neoliberali di austerità imposte sulla Spagna da Madrid, in particolare dal governo del PP a partire dal 2011, e gli scandali riguardanti la corruzione che hanno coinvolto esponenti politici del PP. Il fatto che i successivi governi del CDC siano anch’essi stati gravati da scandali riguardanti la corruzione e abbiano messo in atto tagli drastici ai servizi sociali ha solo lievemente scalfito le pretese nazionaliste sul fatto che i catalani si occupino meglio dei loro affari. Identificandosi con un messaggio di rinnovo nazionalista e un richiamo populista alla ‘libertà’, il CDC e lo stesso Mas si sono riguadagnati un po’ della legittimazione persa fra i catalanisti.
Quello che tutto ciò significa in termini politici non è ancora del tutto chiaro, né ha chiarito alcunché in termini di benefici e costi dell’indipendenza. Eppure, il CDC ha eliminato nel contempo le opinioni nazionaliste moderate: la federazione alla quale apparteneva, Convergència i Unió, si era già diviso sulla questione separatista, ma il suo ex-partner, Unió Democràtica de Catalunya non è sopravvissuto alle elezioni, non ottenendo nemmeno un seggio, avendo perso molti dei suoi voti – così come CDC – in favore di Ciutadans.
Un futuro incerto
Il nuovo governo catalano potrà anche affrontare sfide difficili a seguito delle elezioni generali del 20 dicembre. Da queste elezioni potrebbe infatti emergere un governo di coalizione spagnolo, più attento alle rivendicazioni catalane. Esso potrebbe adottare la tanto sponsorizzata politica della ‘Terza Via’ di coinvolgimento nei negoziati per approfondire il processo di devolution per la Catalogna con un emendamento costituzionale, per dargli, ad esempio, gli stessi diritti di aumentare le tasse di cui godono i Paesi Baschi. Potrebbe persino tentare di cambiare la Costituzione per permettere un referendum, come richiesto da Podemos. La recente frammentazione del sistema partitico in Spagna è tale che è azzardato predire a questo punto che tipo di governo di coalizione potrebbe formarsi, e fino a che punto esso possa incidere sulla politica catalana.
Altre attento incerta è la destinazione finale della road map degli indipendentisti, dopo la promessa di una dichiarazione unilaterale di indipendenza entro 18 mesi. Sia la Costituzione Spagnola sia il Trattato dell’Unione Europea fanno riferimento ambiguo alla integrità territoriale di ciascuno stato membro, quindi un processo di indipendenza unilaterale porterebbe ad un’uscita sia dalla Spagna sia dalla UE. È anche chiaro che c’è poco supporto al l’indipendenza catalana da parte delle istituzioni e dei leader politici europei.
Jean-Claude Juncker ha ripetuto la stessa posizione adottata con la Scozia: se la Catalogna dovesse staccarsi dalla Spagna, non sarebbe più parte dell’Unione Europea e dell’Euro e dovrebbe fare una nuova richiesta per diventarne membro. Senza riferirsi direttamente alla Catalogna, la Cancelliera Merkel, così come Obama e Cameron, ha sottolineato l’importanza di avere una Spagna unità. In particolare per la Cancelliera tedesca il successo di una nazione sudeuropea come la Spagna nell’ottenere una crescita del PIL pari al 1,7% nel 2014 dopo anni di crescita negativa è probabilmente più importante delle pretese di una regione che difficilmente si può considerare un attore importante nel contesto internazionale.
Non esiste neppure alcun precedente storico per la secessione catalana. La Carta dell’ONU e le successive Dichiarazioni dell’ONU precedono il sostegno all’indipendenza solo in caso di un processo di decolonizzazione, in casi di occupazione straniera e fra comunità che soffrono discriminazioni o contro le quali vi è abuso di diritti umani, un reclamo che difficilmente i catalani possono sostenere in ambito internazionale.
La situazione politica della Catalogna continua ad essere dinamica ed incerta. I mercanteggi fra le parti separatiste hanno luogo attraverso negoziati istituzionali, dichiarazioni e contro-dichiarazioni pubbliche. Mas vuole chiaramente continuare a guidare il movimento per l’indipendenza, ma dovranno essere fatte delle concessioni per poter tenere il CUP a bordo, e Mas potrebbe essere proprio la loro vittima sacrificale.
Al di là del problema immediato concernente il nuovo governo catalano, c’è una questione più ampia alla quale bisogna trovare risposta. Quali misure concrete di disconnessione dalla Spagna inizierà ad implementare un governo separatista, dovendo affrontare lo stato spagnolo, così ostile finora, ed un’Europa ampiamente indifferente?
Sebastian Balfour è professore emerito di studi spagnoli della London School of Ecomics and Political Science
Traduzione dall’originale in inglese pubblicato sul Blog della London School of Economics