Bruxelles – La Gran Bretagna ha tutto il diritto di rifiutare l’accesso ad alcune prestazioni sociali, come gli assegni familiari, ai cittadini europei che non hanno il diritto di soggiorno, ad esempio quelli senza un lavoro o senza un proprio reddito. A dare ragione a Londra è l’avvocato generale della Corte di giustizia europea, che propone di respingere il ricorso presentato sul tema dalla Commissione europea. Da tempo il premier britannico, David Cameron insiste perché la Gran Bretagna sia libera di limitare le misure di welfare a favore dei cittadini di altri Paesi europei, così da diminuire anche il peso dell’immigrazione intra-europea. Una linea che ha suscitato le proteste di molti espatriati e anche di Bruxelles. Ma a torto, secondo l’avvocato generale Pedro Cruz Villalon, che oggi ha proposto di respingere il ricorso della Commissione europea contro il Regno Unito, in materia di assegni famigliari per i figli a carico.
La Commissione europea ha ricevuto numerose denunce di cittadini di altri Paesi membri residenti nel Regno Unito, i quali lamentavano che le autorità britanniche competenti avevano respinto le rispettive richieste dirette ad ottenere determinate prestazioni sociali. Pertanto la stessa Commissione ha proposto un ricorso per inadempimento contro il Regno Unito sulla base del rilievo che la normativa britannica non sarebbe conforme a quanto disposto nel regolamento Ue sul coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale. Questo impone infatti che non ci siano discriminazioni sulla base della cittadinanza, mentre le norme britanniche impongono di verificare che i richiedenti di determinati servizi sociali, in particolare le prestazione di assegni famigliari e credito d’imposta a carico dei figli, soggiornino in modo regolare nello Stato britannico. Un requisito considerato discriminatorio dalla Commissione europea.
Un’interpretazione contestata dal Regno Unito secondo cui lo Stato ospitante può legittimamente subordinare la concessione di prestazioni sociali a cittadini dell’Ue, a condizione che questi ultimi soddisfino i requisiti previsti per disporre di un diritto di soggiorno nel suo territorio. Pur ammettendo che il soddisfacimento dei requisiti sia più agevole per i cittadini britannici, i quali godono per principio di un diritto di soggiorno, il Regno Unito sostiene che il suo sistema nazionale non sarebbe discriminatorio, e che, in ogni caso, il requisito del diritto di soggiorno sarebbe una misura proporzionata al fine di garantire che le prestazioni siano erogate a persone sufficientemente integrate nella Nazione.
Posizione sostenuta dall’avvocato generale della Corte di giustizia dell’Ue che ha chiesto di respingere il ricorso della Commissione contro il Regno Unito. Lo Spagnolo ritiene che i requisiti richiesti per eseguire le prestazioni sociali in questione, non infrangano le normative europee: “Nello specifico si tratta di servizi famigliari concessi automaticamente a chiunque soddisfi determinati requisiti oggettivi, prescindendo da una valutazione individuale e discrezionale delle necessità personali”.
L’avvocato ricorda che “La libertà dei cittadini dell’Ue di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri è soggetta alle limitazioni e condizioni previste nel diritto europeo”. Seppure esiste una “discriminazione indiretta” tra cittadini britannici e non, continua, questa risulta giustificata dalla necessità di tutelare le finanze dello Stato membro ospitante. Insomma: un Paese membro è obbligato a concedere ad un cittadino dell’Ue prestazioni sociali come quelle esaminate, “solo nel momento in cui quest’ultimo eserciti la propria libertà di circolazione e di soggiorno nel territorio di tale Stato in modo regolare”.