Bruxelles – Nel dibattito sulle origini della Grande Crisi in Europa, si inserisce un nuovo libro, di recentissima uscita (“La battaglia di Bruxelles – 2011, viaggio al centro della crisi”, Laruffa Editore), nato dall’esperienza diretta dell’autore, Paolo De Luca, come inviato speciale del giornale Radio Rai e corrispondente da Bruxelles negli anni più caldi del caos finanziario. Il volume ripercorre in modo analitico la storia dell’anno più nero della crisi del debito, il 2011; una crisi che in pochi mesi trasformò l’Italia da paese con i conti sostanzialmente in regola a “grande malato d’Europa”, e portò l’intera Eurozona sull’orlo della dissoluzione.
“La battaglia di Bruxelles – scrive l’autore – è sostanzialmente quella che l’Europa combatté contro sé stessa, utilizzando le armi della finanza e della politica”. Un conflitto sviluppatosi all’interno dell’area della moneta unica che nel volgere di pochi mesi rimise in discussione i progressi faticosamente raggiunti in 60 anni di integrazione europea. Tuttavia, oltre che finanziaria ed economica – secondo De Luca – la crisi fu politica e culturale. Venne, cioè, meno quel sentimento di fiducia reciproca che l’euro – secondo la sua missione originaria – avrebbe dovuto far crescere fra popoli e paesi un tempo nemici. Prevalse invece l’egoismo, un disordinato “si salvi chi può”, al termine del quale riuscì a salvarsi solo il paese più forte, la Germania.
La responsabilità di quanto accaduto in quegli anni va ascritta, secondo quanto si legge nel libro, non solo alle evidenti e ben note criticità strutturali dell’architettura europea, ma in larga misura alla dissennata gestione della crisi da parte dei paesi più forti, Germania e Francia innanzitutto. Il cosiddetto “asse Merkozy”, cioè il direttorio franco-tedesco incarnato da Angela Merkel e Nicolas Sarkozy, si è costantemente mosso perseguendo un duplice obiettivo: salvare dal default le banche francesi e tedesche ed assecondare gli umori delle opinioni pubbliche dei due paesi. Al punto che il timing dei numerosi interventi finanziari a sostegno della Grecia, del Portogallo, dell’Irlanda, della Spagna, finì per seguire il ritmo delle scadenze elettorali nei Laender tedeschi.
Il libro prende in esame nei dettagli anche le enormi difficoltà della politica italiana, caratterizzata da un esecutivo inerte di fronte alla crisi e da un’opposizione divisa ed incapace di costruire una valida alternativa di governo. Ampio spazio è dedicato in particolare all’esecutivo Berlusconi, scosso dalle vicende giudiziarie, ossessionato dalle divisioni nella maggioranza, lacerato dalla polemica permanente fra il premier e il ministro dell’Economia, Tremonti. E viene posto sotto una nuova luce anche il ruolo svolto dal capo dello Stato dell’epoca, Giorgio Napolitano, che riuscì – con grande fatica e assumendo sulle proprie spalle la responsabilità di scelte difficili e contrastate – a tenere unito il paese nel segno della “coesione nazionale”, in una situazione di panico e di disorientamento generale.
Le ferite profonde che la Grande Crisi ha provocato nel corpo dell’Europa sono ancora ben visibili, nonostante la fase più critica sembri ormai alle nostre spalle. L’UE resta sospesa fra egoismo e solidarietà, fra integrazione e dis-integrazione, e i movimenti populisti insidiano, specie nei paesi della zona euro, i tradizionali partiti europeisti, costringendoli ad alleanze spesso innaturali ed emergenziali.
Ma accanto a tante ombre, si intravede anche qualche flebile spiraglio di luce. Forse grandi tragedie, come la guerra in Ucraina e l’emergenza dei rifugiati, stanno cambiando l’approccio di Berlino nei confronti dell’Europa, e Merkel, per la prima volta dopo 10 anni di governo, prova a vestire i panni di leader europea e non solo di Cancelliera del suo paese. “Certo, è un percorso ancora tutto da verificare – osserva l’autore -. Ma una Germania un po’ più europea in un’Europa un po’ meno tedesca, per riprendere l’inascoltato monito di Thomas Mann, sarebbe nell’interesse di tutti. Anche della stessa Germania”.