Bruxelles – Bastano pochi numeri a tracciare la differenza tra la Turchia e l’Europa. Il primo è 2 milioni e mezzo: il totale dei migranti che il Paese mediorientale ha dovuto accogliere dall’inizio della guerra in Siria. Gli altri sono 911 e 250: i chilometri di confine che la Turchia ha rispettivamente con Siria e Iraq. In visita a Bruxelles il presidente Recep Tayyp Erdogan, ci tiene a snocciolarli uno ad uno per chiarire: “Siamo noi il Paese sotto minaccia qui”. Una risposta senza troppi giri di parole ad un’Europa che guarda con crescente insistenza verso Ankara nella speranza di trovare un aiuto per uscire dal caos sulla gestione dei rifugiati.
Ma Erdogan ci tiene a ridimensionare il problema dell’Ue. “In tutti i Paesi d’Europa oggi ci sono 250mila rifugiati”, calcola. Mentre “nel nostro Paese ci sono 2 milioni e 200 mila rifugiati siriani e 300 mila iracheni”. Abbiamo “accolto chi fuggiva senza alcuna discriminazione e non abbiamo mai mandato chi arrivava in Turchia in altri Paesi”, fa notare il presidente turco, ricordando anche che fino ad ora per i rifugiati il Paese ha speso 7,8 miliardi di dollari, mentre il supporto internazionale si è fermato a 470 milioni di dollari. Nonostante questo, assicura Erdogan, “continuiamo a mantenere la nostra politica delle porte aperte”.
Ma quello che interessa all’Europa è soprattutto che il Paese mantenga porte chiuse in uscita. “Questa situazione con centinaia di migliaia di persone che scappano dalla Turchia deve essere fermata e non possiamo farlo da soli: abbiamo bisogno dell’impegno turco”, sottolinea il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk. “L’Europa deve gestire meglio i propri confini e si aspetta che la Turchia faccia lo stesso”, bacchetta il polacco. Ma, appunti a parte, oggi è soprattutto il momento del dialogo con il presidente della Commissione Ue, Jean-Claude Juncker che comunica l’intenzione di proporre “al mio amico Erdogan un’agenda comune sull’immigrazione tra Turchia e Ue”.
Secondo il quotidiano tedesco Frankfurter Allgemeine Sonntagszeitung, Ue e Turchia avrebbero già raggiunto un accordo in linea di principio su un piano di azione per arginare il flusso di migranti verso l’Europa. Un piano che prevederebbe sei nuovi campi profughi in Turchia, parzialmente finanziati dall’Ue, in cui confluirebbero circa due milioni di persone. L’Ue dal canto suo si impegnerebbe ad accogliere fino a mezzo milione di persone che potrebbero entrare legalmente nell’Ue bypassando i trafficanti di uomini.
Ma se mai ad un piano di questo tipo si arrivasse, frenano fonti Ue, non sarà certo oggi. Nel piano comune che Juncker discuterà con Erdogan ancora non si fanno cifre e d’altra parte è molto difficile che il presidente turco si impegni in progetti di questo tipo con difficili elezioni politiche che lo attendono il primo di novembre. Che però l’intenzione sia di stringere la collaborazione è cosa certa. “Sono fortemente impegnato a migliorare la nuova fiducia che c’è tra Unione europea e Turchia”, garantisce Juncker e anche il presidente turco garantisce che il Paese “è pronto ad ogni tipo di collaborazione in questo settore”.
Per oliare gli ingranaggi e migliorare il clima l’Ue è pronta a mettere sul tavolo una velocizzazione del processo di liberalizzazione dei visti tra Europa e Turchia. “Sono molto favorevole ad un’accelerazione”, garantisce Juncker toccando un punto sensibile del turco, sempre convinto della necessità di approfondire l’integrazione con l’Ue per arrivare, come obiettivo finale, all’adesione. “Per la Turchia l’ingresso nell’Ue continua a essere la scelta strategica”, sottolinea Erdogan, chiedendo che “il processo di accesso sia liberato da barriere politiche artificiali e sia rivitalizzato”. Non ci dovrebbero essere problemi nemmeno sull’inserimento della Turchia nei Paesi di origine sicuri, quando la lista, a giorni, sarà stilata. “Mi rattrista molto questo dibattito per stabilire se siamo o no un Paese sicuro”, lamenta Erdogan. Ma sia Juncker che Schulz assicurano che non ci saranno problemi. L’Ue cede anche alla richiesta di mettere sul tavolo la proposta turca di creare una zona cuscinetto lungo il confine turco-siriano e una no fly zone.
Infine la lotta al terrorismo. Se ad unire Ue e Turchia ci sono la condanna comune contro l’Isis e la ferma convinzione che la soluzione alla crisi politica nel Paese non possa passare da Bashar al-Assad, a dividere c’è l’atteggiamento nei confronti del partito curdo dei lavoratori, il Pkk. Da quando sono partiti i raid contro lo Stato Islamico, Ankara ha bombardato pesantemente anche le postazioni curde. Una scelta spesso condannata da diversi Paesi Ue che chiedono di riprendere il processo di pace. “Anche se qualcuno sostiene che il Pkk non è terrorismo non è così”, protesta Erdogan: “Non dovrebbe esserci alcuna legittimazione verso il Pkk con la scusa che sta lottando contro Daesh” e “non possiamo parlare di un terrorismo buono contro uno cattivo”. Per Erdogan Pkk, Pyd (costola siriana del Pkk) “sono terroristi come Daesh e spero che gli amici europei – chiede – abbiano la necessaria sensibilità su questo punto”.