Londra – Un fulmine a ciel sereno. Un terremoto. E’ più o meno con espressioni iperboliche di questo genere che è stato descritto il gesto di Force India e Sauber, due scuderie di Formula 1 che hanno sporto reclamo all’Unione europea contro la società che governa contratti, distribuzione e gestione commerciale di diritti e licenze dell’intero ‘circus’, la Fom (Formula one management) di Bernie Ecclestone, accusata di abuso di posizione dominante.
“Il team Sahara Force India – si legge in una dichiarazione ufficiale della squadra anglo-indiana – è una delle due scuderie ad aver presentato reclamo presso l’Unione europea, chiamando in causa la governance della Formula 1 e dimostrando che il sistema di spartizione dei ricavi e il modo in cui le regole sono adottate sono illegali e iniqui”.
Perno centrale della questione il montepremi di 249 milioni di dollari spartito dalla Fom a fine stagione, ma soltanto fra le cinque scuderie più blasonate, vale a dire Ferrari, Red Bull, McLaren, Williams e Mercedes. Una retribuzione che il Ceo della Fom e magnate della F1 Ecclestone ha giustificato a Eddie Jordan, ex pilota, ex fondatore dell’omonima scuderia e oggi commentatore tv, citando il fatto che i team della Top 5 hanno garantito la loro partecipazione sino al 2020.
Non è difficile capire perché le piccole squadre siano così contrariate: nonostante abbia ottenuto appena ventisei punti in meno della McLaren, la Force India si è dovuta accontentare di 60 milioni di dollari totali, mentre la scuderia di Woking ne ha incassati 98, di cui 34 dal sopracitato montepremi di 249 milioni. Ancora più ingiustificata appare la fettona spettata alla Ferrari, 97 milioni in soli bonus, a dispetto di una stagione nerissima, conclusa addirittura al quarto posto della classifica costruttori.
Le rimostranze non finiscono qui: Sauber e Force India reclamano la mancanza di rappresentatività nello Strategy group della F1, l’organo responsabile delle modifiche al regolamento, dove sono presenti le cinque ‘big’ al completo (Ferrari, McLaren, Mercedes, Red Bull e Williams) ma le scuderie minori sono rappresentate dalla sola Force India.
Per chiarire, le norme europee vietano qualsiasi abuso di potere da parte di interessi dominanti, per non parlare di alleanze tra imprese atte a monopolizzare il mercato, sia al fine di limitare l’apporto di terzi, sia per addirittura escluderli.
E i carneadi della Formula Uno non sono certo i soli a vedere una violazione di questi principi. l’avvocato Rohan Shah, esperto di antitrust di Rbb economics, in un’intervista su AUTOSPORT.COM riassume così la vicenda: “Si può concludere che la Fom è l’acquirente dominante dei servizi forniti dai team, ma che gli accordi bilaterali non sono verosimilmente indispensabili”. Bisognerebbe verificare se “le diverse emittenti e i rivenditori possano scegliere qualcuno di diverso dalla Fom – ha proseguito Shah – per togliere a quest’ultima ogni incentivo o possibilità di danneggiare l’audience e i tifosi della Formula 1”. Insomma, ci si dovrebbe chiedere perché le ‘piccole’ debbano per forza lavorare con la Fom di Ecclestone, e non possano scegliere qualcun altro con cui trovare un accordo più redditizio.
C’è, in effetti, qualcosa che non torna tra il resoconto della stampa finanziaria – secondo il GUARDIAN, l’anno scorso la Formula Uno avrebbe superato i 260 milioni di dollari di guadagni – e il fatto che scuderie come la Marussia siano andate in bancarotta, mentre altre, come la Lotus, rischino di fare la stessa fine. Dove finiscono tutti quei soldi? E perché affidarsi sempre a Ecclestone, quando la Formula 1 accusa un calo precipitoso di audience, al punto da aver perso il 7% dei telespettatori dal 2013 al 2014?
A detta di Shah, c’entra sicuramente la carenza di spettacolo, legata alla mancanza di competitività: “I tifosi della Caterham – scuderia fallita lo scorso anno – possono sostenere che il sistema in vigore impediva alla loro squadra di essere competitiva. Dal canto loro, le società televisive rischiano di non ottenere ciò per cui hanno pagato, sarebbe a dire la parvenza di una ‘sana’ competizione tra scuderie”.
Una buona notizia per i team che hanno presentato il reclamo è che c’è già chi, all’interno delle istituzioni, è disposto a aiutarle: Annelise Dodds, europarlamentare britannica che si è già interessata a casi di antitrust relativi alla Formula Uno. Guarda caso, proprio la sua circoscrizione elettorale ospita le sedi di Manor (ex Marussia e prima ancora Virgin), Caterham (fallita), Williams, Lotus e McLaren, e si trova a pochi chilometri da Silverstone, dove ha sede la Force India.
Secondo Dodds, “questo è un problema che va oltre la gestione sportiva, perché un eventuale abuso di governance o commerciale può avere un impatto sulla ricerca e lo sviluppo relativi alla progettazione delle monoposto”. L’europarlamentare non teme solo l’espansione del gap tecnologico tra i Davide e i Golia del circuito, ma anche la perdita di lavoro “per migliaia di lavoratori specializzati”.
La reazione di Bernie Ecclestone è stata pacata. Il Paperone della Formula Uno ha controbattuto con un semplice “hanno tutti firmato contratti molto chiari”, tesi sostenuta anche dall’ex-avvocato, ora presidente della Ferrari, Sergio Marchionne. In effetti, non sarà certo semplice per Force India e Sauber spiegare perché hanno messo la propria firma sui contratti bilaterali, che ogni squadra è stata tenuta a sottoscrivere secondo il Patto della Concordia del 2013, così chiamato perché concluso, ‘illo tempore’, nell’omonima piazza parigina.
Eppure, la Formula 1 non naviga proprio in acque tranquille. Tra le diverse scuderie indebitate e le minacce della Red Bull di abbandonare i circuiti, nel caso non dovesse trovare un motore che gli piace per il prossimo anno, il gigante F1 non si può permettere un altro caso, soprattutto non in un momento in cui la Commissione europea è già stata chiamata in causa da Fifpro, il sindacato mondiale dei calciatori. Il tempismo del reclamo non è affatto casuale, come conferma Kevin Eason del TIMES, “a Bruxelles c’è voglia di fare pulizia dopo gli scandali Fifa”.