Bruxelles – Sarà forse colpa dell’ondata migratoria, o di quegli allarmismi populistici che la accusano di stravolgere l’identità culturale del nostro continente. Fatto sta che in Europa le discriminazioni razziali e religiose continuano a crescere. Almeno nella percezione dei cittadini. Lo evidenzia un’indagine Eurobarometro, secondo cui tutti gli indicatori di intolleranza sono percepiti come in crescita. Il 64% degli europei crede che la discriminazione basata sull’etnia in Europa sia diffusa (con un aumento di 8 punti percentuali rispetto alla rilevazione del 2012). Il 50% degli europei ritiene che lo sia anche quella basata sulla religione o le convinzioni personali (nel 2012 era ferma al 39%). Il 33% ritiene che esprimere una credenza religiosa possa essere uno svantaggio quando si presenta una domanda di lavoro (rispetto al 23% del 2012).
Il gruppo socialmente meno accettato sono i musulmani: soltanto il 61% degli intervistati dichiara che si troverebbe pienamente a suo agio con un collega di lavoro musulmano, mentre solo il 43% non avrebbe problemi ad accettare la relazione tra un figlio adulto e una persona musulmana. Ma risulta in forte crescita anche l’antisemitismo: il 73% degli intervistati per un’indagine dell’Agenzia per i diritti fondamentali ritiene che l’antisemitismo online sia aumentato negli ultimi cinque anni.
Nella vita vera è difficile quantificare i casi di antisemitismo. I dati sul tema sono pochi e frammentari, soltanto alcuni Paesi raccolgono cifre ufficiali sul tema e tutte sono raccolte in modo diverso, dunque non sono confrontabili le une con le altre. Tra i Paesi che hanno dati ufficiali, quello di gran lunga più toccato sembra essere la Germania che nel 2014 ha registrato oltre 1.500 casi contro gli 851 della Francia o i 318 della Gran Bretagna. Per l’Italia esistono solo dati non ufficiali, che riportano in tutto 86 incidenti.
Ma non ha senso puntare il dito contro uno Stato o contro l’altro, “l’antisemitismo riguarda tutti gli Stati membri, nessuno è immune”, sottolinea il vicepresidente della Commissione europea, Frans Timmermans, chiarendo: “Io non posso immaginare l’Europa senza una forte comunità ebraica, voglio che gli ebrei vedano un futuro per se stessi qui, è una questione vitale per il futuro dell’Europa”.
E nemmeno, insiste Timmermans, bisogna sentirsi minacciati dall’imponente afflusso di rifugiati musulmani: “Sentiamo nei discorsi di alcuni politici che l’afflusso dei rifugiati musulmani sarebbe una minaccia alla cultura europea”, racconta con riferimenti nemmeno troppo velati al premier ungherese, Viktor Orban che ha chiarito di non volerne troppi nel suo Paese. “È normale che ci sia un elemento di paura verso quello che non si conosce e che è diverso”, concede il vicepresidente della Commissione, ma “queste paure vanno messe in prospettiva” e si deve “fermare questa generalizzazione”. Infatti “la stragrande maggioranza della comunità islamica – assicura – non solo non è una minaccia per noi ma rende la nostra società più forte di prima”.
“Nell’Ue uno su cinque ha sperimentato discriminazione sulla base della religione negli ultimi 12 mesi”, riporta la Commissaria Ue alla Giustizia, Vera Jourova. “Questa – dice – è una grossa sfida per la società europea. I partiti estremisti e populisti offrono soluzioni semplici e noi dobbiamo spiegare che non sono quelle giuste e combattere la xenophobia”.