Londra – Osannati quando vanno in gol, insultati quando esigono un aumento. Gli Ibrahimovic e i Ronaldo dei nostri tempi sono solo due esempi di artisti del pallone tramutatisi in mercenari alla mera menzione del ‘vil danaro’. Eppure, per ogni Cristiano Ronaldo che si tuffa tutte le mattine in un deposito pieno di monete, ci sono decine, centinaia di suoi colleghi in tutta Europa che percepiscono molto meno, e che soprattutto non godono delle protezioni previste dalle norme europee sul lavoro. È anche per questo che Fifpro, sindacato che rappresenta più di 65.000 giocatori in 65 Paesi, si è rivolta alla Commissione europea, nella speranza di rivoluzionare il rapporto di forze tra impiegati e datori di lavoro nel mondo del calcio, presentando un reclamo alla direzione generane Concorrenza contro il sistema dei trasferimenti Fifa.
Tra gli obiettivi del sindacato con sede in Olanda ritroviamo l’abrogazione della vendita dei cartellini dei tesserati, l’abolizione dei prestiti nonché la fissazione di un limite alla percentuale percepita dai procuratori e di un tetto alle dimensioni delle rose.
Mentre la stampa internazionale ha evocato scenari utopici di un mondo senza affari plurimilionari, le parole del presidente di Fifpro, l’olandese Theo Van Seggelen, hanno colpito per aver messo in risalto le cattive condizioni in cui lavora la maggior parte dei calciatori dell’epoca nostrana: “I giocatori? Stanno diventando merce, non sono più esseri umani. Stiamo perdendo il controllo della situazione”.
Un esempio è il pagamento ritardato degli stipendi (riguarda il 42% dei professionisti), che la proposta Fifpro risolverebbe introducendo la possibilità, per i calciatori retribuiti in ritardo, di rescindere il contratto con un preavviso di dieci giorni, invece di aspettare mesi o anni tra innumerevoli cause e appelli.
Una delle più flagranti violazioni delle norme europee, secondo il sindacato, riguarderebbe proprio la rescissione del rapporto di lavoro per un calciatore che vuole fare le valigie a contratto in corso. Nonostante uno stipendio che va dalle 16 alle 20 mila sterline mensili, un giocatore della categoria cadetta inglese (la Championship) ha meno diritti di un impiegato qualsiasi, almeno fino a quando è sotto contratto e la sua società non vuole separarsene. In teoria, il tesserato può fare appello al Tas (Tribunal arbitral du sport) della Fifa o al Drc (Dispute resolution chamber), ma a condizione che il suo nuovo datore di lavoro paghi un indennizzo a quello precedente. In pratica, però, il precedente stabilito nel 2008 ha costretto il Real Saragozza a versare 11,6 milioni di Euro allo Shakhtar Donetsk dopo che quest’ultimo era stato piantato in asso dal brasiliano Matuzalem per vestire la maglia della squadra spagnola. Un caso inaudito che non ha certo incitato i suoi colleghi e seguirne l’esempio.
La mancata remunerazione dei calciatori non è certo un fenomeno senza conseguenze, almeno secondo Declan Hill, uno dei massimi esperti mondiali sulla corruzione nello sport internazionale: “Quando le società non pagano i loro giocatori rispettando le scadenze, questi ultimi sono più suscettibili sia di avvicinamenti da parte di eventuali corruttori che di collaborare con loro”. Un fenomeno non sconosciuto a noi italiani, vedi il caso calcioscommesse.
Peggio, nel suo rapporto del 2012 sull’Europa dell’Est, la Fifpro sottolineava il ruolo di primo piano svolto dalla violenza nei rapporti tra società e calciatori, con il 12% degli ultimi vittime di percosse, tra cui citiamo il caso del centravanti montenegrino Nikola Nikezic, brutalmente malmenato da impiegati dell’Fc Kuban, nel 2011, per costringerlo ad abbandonare la squadra russa. Quel 12% aumenta addirittura al 31,5% in Grecia, dove il 30,3% di tesserati ammise, nello stesso rapporto, di essere stato avvicinato per eventuali combine.
È duro evitare la conclusione che la nostra sia una società che non ha mai accettato l’idea del calcio come mestiere, né che, in quanto impiegato, il tesserato qualsiasi abbia il diritto di contrattare con il suo capo per essere pagato a seconda del suo valore di mercato.
Il calciatore medio, se cosi lo si può chiamare, dispone di determinate competenze che gli permetteranno di mantenersi al massimo fino ai quarant’anni, spesso con stipendi paragonabili a quelli di un mortale qualsiasi.
I più fortunati sono quelli che hanno avuto di che (e saputo) risparmiare e investire: per gli altri, il ritorno alla vita normale è un rude battesimo di fuoco, soprattutto se non hanno avuto il tempo di specializzarsi in qualcos’altro durante le loro carriere sportive.
Per ogni Robbie Fowler, il cui patrimonio calcistico è stato moltiplicato da una serie di investimenti molto accorti nel settore immobiliario inglese, ci sono molteplici Phil Neal. Da abile imbucatore di ali e centravanti, l’ex terzino, campione d’Europa col Liverpool, è diventato un imbucatore di lettere per la Royal Mail inglese, dopo aver rappresentato il suo Paese sul campo in ben cinquanta occasioni.
E sono poche le carriere che proseguono nel calcio che conta o che includono studi universitari. I laureati in Serie A si contano sulle punta delle dita: tra di loro ritroviamo l’atalantino Guglielmo Stendardo, la cui laurea in giurisprudenza gli è costata qualche litigata con Stefano Colantuono, all’epoca suo allenatore, per il tempismo di certi esami.
E pensare che, prima dell’avvento del famoso caso Bosman, un tesserato non aveva neppure il diritto di lasciare una società fino a quando un altro club non fosse stato pronto a rilevarne il cartellino, anche se l’interessato non giocava e non veniva pagato. Fu solo rivolgendosi alla Corte di giustizia europea, nel 1995, che Jean-Marc Bosman, ex promessa del calcio belga degli anni ’80, stravolse il mondo del calcio, ottenendo il diritto di lasciare l’Rfc di Liegi e aprendo le porte a tutti i suoi colleghi europei, che guadagnarono la libertà di trasferirsi in qualsiasi club europeo, svincolandosi a parametro zero una volta scaduto il loro contratto.
All’epoca in cui la Fifpro venne fondata, a metà anni sessanta, l’Inghilterra aveva appena abrogato il sistema retain-and-transfer, che impediva a un giocatore di fare la valigie, anche a contratto scaduto, senza prima ottenere il beneplacito della società.
Guarda caso, nel 1961 la Francia dava alla luce l’Unfp (Union nationale des footballeurs professionels), un sindacato fondato dal leggendario Raymond Kopa, la cui frase, “i giocatori sono degli schiavi!”, era molto meno sensazionalista di quanto apparisse. Il cofondatore Eugène N’Jo Léa – anch’egli laureato in giurisprudenza – mise il dito nella piaga dichiarando che “pure i presidenti hanno un sindacato! Ce l’hanno tutti, salvo noi calciatori, e la stiamo pagando cara”.
Riuscirà la Fifpro a rivoluzionare il mondo del pallone? Vista la sorpresa destata dal caso Bosman, nulla è da escludere, anche se pare più realistico che i cosiddetti mercenari del calcio mondiale ottengano al massimo qualche garanzia in più. Anche Michel Platini, presidente dell’Uefa e probabile prossimo numero uno della Fifa, ha riconosciuto che “i calciatori vanno protetti di più. Senza di loro il calcio non esisterebbe”. Ora tocca alle società, alla Commissione europea, e a noi.