Bruxelles – Le spese per la gestione e l’accoglienza dei migranti non possono essere oggetto di flessibilità. Dalla Commissione europea arriva lo stop all’idea maturata in questi giorni – sopratutto in Italia – di un non conteggio ai fini di deficit e debito delle uscite in bilancio relative all’accoglienza dei richiedenti asilo e alla gestione del fenomeno immigrazione. Una proposta, quella di tenere fuori dai vincoli del patto di stabilità le nuove spese, maturata a seguito dell’aumento della pressione migratoria in Europa, la cui gestione richiede sforzi soprattutto economici. “Abbiamo il patto di stabilità e crescita che offre già i margini necessari di flessibilità, e tutti devono attenersi alle regole”, dice secco il responsabile per la Crescita e gli investimenti, Jyrki Katainen, al termine della riunione del collegio dei commissari che – tra le altre cose – ha formalizzato la proposta di destinare 1,7 miliardi di euro in due anni per la risposta alla crisi migratoria. Katainen, che esprime il punto di vista della Commissione Ue sul caso specifico, rifiuta l’idea di sconti sui conti. “Ci sono sempre situazioni problematiche nelle nostre economie che inducono a pensare di poter introdurre maggiori margini di flessibilità, ma abbiamo già chiarito nella nostra comunicazione come interpretare i margini che ci sono già”.
Parole che stridono con quelle della presidenza di turno del Consiglio Ue, e che mostrano come le posizioni siano quanto mai distanti tra le diverse istituzioni comunitarie. Il ministro delle Finanze lussumburghese Pierre Gramegna si è detto pronto a prevedere la speciale clausola. Evidentemente, almeno per ora, non c’è il clima adatto in Europa per parlare di nuove eccezioni contabili. Da una parte c’è ancora chi preme per la disciplina di bilancio, e Katainen si fa portavoce di questo schieramento. “Resta importante mantenere in buono stato le finanze pubbliche, altrimeni diventa difficile proteggere i nostri cittadini e i rifugiati”. Dall’altra parte ci sono ancora le divisioni sulle quote, come dimostra il ricorso annunciato dalla Slovacchia contro le decisioni sulla ripartizione obbligatoria dei richiedenti asilo. Si rischia di aprire un nuovo fronte di scontro, e la Commissione frena. Ma il dibattito potrebbe non essere chiuso.