Bruxelles – I Paesi dell’Unione faticano a trovare una voce comune sulla Siria. A dividere non c’è solo la fuga in avanti della Francia che ha autonomamente dato il via ai raid contro le postazioni dell’Isis, ma anche le diverse posizioni sull’atteggiamento da tenere nei confronti di Bashar al-Assad. Ad imporre la riflessione su questo fronte, il ritorno sulla scena internazionale della Russia di Vladimir Putin che sulla Siria gioca la sua partita per il riavvicinamento all’Occidente dopo la crisi ucraina. Mosca pone una linea rossa invalicabile: nessuna soluzione politica è possibile senza il coinvolgimento dell’attuale presidente siriano, storico alleato di Mosca. Con ogni probabilità il tema sarà al centro del bilaterale che, a margine dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, riporterà uno di fronte all’altro Putin e il presidente americano Barack Obama, che sulla questione ha una visione diametralmente opposta: “Stati Uniti e Russia hanno un interesse strategico comune, combattere lo Stato Islamico, ma continuare ad appoggiare Assad è una politica destinata al fallimento e rischia di far crollare le speranze di una pacificazione del Paese”, ha chiarito pochi giorni fa l’inquilino della Casa Bianca. Una divergenza che rischia di bloccare qualsiasi approccio comune sulla questione prolungando quei “quattro anni di paralisi diplomatica” che il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon ha denunciato nel suo discorso all’Assemblea generale. Inazione, ha detto, che ha fatto sì che “la crisi siriana sia diventata fuori controllo”. Anche all’interno dell’Europa le posizioni sul tema non sono univoche.
«Quattro anni di paralisi diplomatica del Consiglio di Sicurezza hanno fatto sì che la crisi siriana sia diventata fuori controllo»: è il duro attacco del segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, alla 70/ma Assemblea Generale dell’Onu. «Cinque Paesi in particolare hanno la chiave Russia, Usa, Arabia Saudita, Iran e Turchia»
Berlino pare intenzionata a sposare la linea russa, sostenendo la necessità di coinvolgere il dittatore nei colloqui di pace. “Serve parlare con numerosi attori, coinvolgere Assad, ma anche altri”, ha dichiarato la cancelliera tedesca Angela Merkel a margine del vertice straordinario dei leader Ue sull’immigrazione la scorsa settimana. Un concetto ribadito oggi dal ministro della Difesa tedsco, Ursula Von Der Leyen, che in un’intervista specifica: “Assad non può essere parte di una soluzione a lungo termine” ma “se vogliamo contenere e porre fine alla guerra civile che infuria in Iraq e soprattutto in Siria, in questa situazione acuta, allora, la comunità internazionale dovrà riunirsi con tutte le diverse forze che alimentano la guerra da fuori e dentro, o che possono agire da moderatori”.
Posizione simile a quella della Gran Bretagna. Secondo quanto il primo ministro David Cameron ha detto ai cronisti durante il viaggio verso New York, Bashar al-Assad dovrebbe essere processato per i crimini di guerra commessi contro il popolo siriano, ma per il momento potrebbe avere un ruolo in un governo di transizione per ristabilire la normalità nel Paese dopo oltre quattro anni di guerra. Nonostante questa apertura Cameron ha sottolineato: “È comunque chiaro che Assad non potrà avere nessun ruolo nel futuro della Siria nel lungo periodo”.
E anche l’Alto rappresentante per la politica estera Ue, Federica Mogherini è possibilista sul coinvolgimento, seppure indiretto, di Assad nella ricerca di una soluzione politica. “È impossibile che faccia parte della futura governance del Paese”, ma “ciò non vuol dire che rappresentanti del regime non possano sedersi al tavolo dei negoziati”, ha chiarito la sua portavoce, Catherine Ray. “L’Ue – ha continuato – stima che una soluzione durevole non possa che essere trovata dai siriani stessi, per questo facciamo appello a tutte le parti che hanno influenza sui diversi partiti siriani affinché si impegnino per mettere fine alle violenze”.
Il ‘no’ più netto ad aperture nei confronti del dittatore arriva dal presidente francese, François Hollande secondo cui “il futuro della Siria non può passare per Assad” e “non può esserci una transizione coronata da successo se non con la sua partenza”. Insomma anche se, secondo il presidente iraniano, Hassan Rohani, oggi tutti “hanno accettato che il presidente Assad debba restare in modo che possiamo combattere il terrorismo” resta chiaro il no di Parigi che ha anche iniziato i raid in Siria contro lo Stato islamico.
L’annuncio del primo attacco, dopo due settimane di voli di ricognizione sul territorio, è arrivato dall’Eliseo con un comunicato: “L’abbiamo fatto sulla base delle notizie d’intelligence raccolte nelle operazioni aeree”, ha spiegato Hollande, confermando la determinazione a “lottare contro la minaccia terroristica dell’Isis ogni volta che sarà in gioco la sicurezza nazionale”.
L’interventismo francese non piace a tutti. Se alcuni, come la Gran Bretagna, valutano la possibilità di effettuare raid aerei contro Isis e ritengono si debba agire, altri prendono le distanze. È il caso dell’Italia: “Noi non facciamo raid o blitz”, ha chiarito subito il presidente del Consiglio, Matteo Renzi. “Non dobbiamo fare gli stessi errori compiuti in Libia – ha specificato – dove l’intervento armato non ha pagato e stiamo invece pagando i costi di una grave destabilizzazione”. Immediata poi la condanna di Mosca secondo cui i raid francesi sono “al di fuori del diritto internazionale” perché avvengono “senza l’autorizzazione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu e il via libera del governo legittimo” siriano.