di Peter Ramsay
Si è parlato molto nelle ultime settimane di come il nuovo leader del Labour, Jeremy Corbyn, rappresenti qualcosa di “nuovo” nel panorama politico britannico. In particolare i media hanno sottolineato l’effetto galvanizzante della sua campagna e la sua “autenticità”, così lontana dal marketing politico dei giorni d’oggi. Ma non dobbiamo dimenticare che quello di Corbyn è un programma politico vecchio e anche piuttosto arrugginito. E, cosa ancor più importante, che le sue idee vintage hanno già fallito in passato, e in un’epoca – gli anni ottanta – in cui godevano del sostegno di centinaia di migliaia di militanti del partito e di milioni di sindacalisti appartenenti ad un movimento operaio combattivo e capillare. È stato proprio il fallimento di quel vecchio modello di sinistra che ha decretato la fine del movimento operaio, trasformando i sindacati nei gusci vuoti che sono oggi. La sinistra europea, dunque, dovrebbe guardarsi bene dall’investire una seconda volta in quel vecchio modello. Le politiche migratorie illustrano perfettamente tutti i limiti della vecchia sinistra.
La vittoria di Corbyn è avvenuta nel pieno della più grande crisi migratoria in Europa dagli anni quaranta ad oggi. Mentre i rifugiati vengono accolti a manganellate lungo le frontiere del continente, i “paesi di confine” innalzano muri e filo spinato. Nel Regno Unito, l’UKIP ha promesso di mettere il tema dell’immigrazione al centro del referendum sull’appartenenza del paese all’UE. Anche se Corbyn ha sempre mantenuto un atteggiamento piuttosto aperto nei confronti dell’immigrazione, il suo programma elettorale non conteneva nessuna proposta specifica in materia di politiche migratorie. L’incapacità della vecchia sinistra di dare una risposta coerente al tema dell’immigrazione si può imputare a due fattori principali.
Il primo è stato riassunto dallo stesso Corbyn nel suo primo articolo da leader del partito:
La risposta umana della gente di tutta Europa nelle ultime settimane ha dimostrato l’intenso desiderio di un tipo diverso di politica e di società. I valori della compassione, della giustizia sociale, della solidarietà e dell’internazionalismo sono stati al centro della recente esplosione di democrazia in un Labour sempre più influente. Quei valori sono profondamente radicati nella cultura del popolo britannico.
Corbyn ha ragione a sostenere che compassione e giustizia sociale da un lato, e solidarietà e internazionalismo dall’altro, sono al centro della vecchia – e ora rediviva – sinistra del Labour. I “valori” della vecchia sinistra sono affascinanti ma contengono un difetto fatale. Riducendo la solidarietà e l’internazionalismo ad una questione di compassione e di giustizia sociale, la vecchia sinistra ha finito per mettere in secondo piano l’aspetto centrale dell’internazionalismo: la comunanza di interessi tra i lavoratori di un paese e quelli degli altri paesi. Il risultato è che la solidarietà e l’internazionalismo – che secondo Corbyn sono «radicati nella cultura del popolo britannico» – sono oggi motivati da un vago senso di solidarietà e di giustizia sociale, non dalla difesa di un interesse comune. In altre parole, la maggior parte dei cittadini britannici comprende la necessità di aprire le porte ai rifugiati siriani in fuga dalla guerra, ma lo considera un gesto di puro altruismo umanitario, nulla di più. Di certo non pensa che sia nel proprio interesse far entrare nel paese milioni di migranti economici.
Questo genera tensione tra la vecchia sinistra e i suoi potenziali sostenitori. Quando le classi popolari esprimono ostilità nei confronti degli immigrati, si fa presto ad accusarli di essere razzisti e poco compassionevoli. Di conseguenza, la sinistra si trova spesso a lamentare il presunto razzismo della gente o ad assecondare le loro paure, promettendo politiche “severe ma giuste” in fatto di immigrazione, come ha fatto l’ultimo governo laburista.
Questo tema è stato affrontato di recente anche da Slavoj Zizek. In un suo recente articolo sulla crisi dei rifugiati scriveva:
Non è intrinsecamente razzista o proto-fascista per le popolazioni ospitanti dire di voler proteggere il loro “stile di vita”: questa nozione deve essere abbandonata.
Zizek ha ragione: coloro che vedono minacciato il proprio stile di vita non lo fanno perché ritengono che gli altri non lo meritino, magari sulla base di una loro supposta diversità o inferiorità razziale. Sì, ci sarà pure qualcuno che ritiene i polacchi, gli afghani o gli eritrei geneticamente inferiori, ma esistono molti altri motivi per cui la gente è contraria all’immigrazione. Dai sondaggi emerge che l’“impatto culturale negativo” dell’immigrazione rappresenta un fattore di opposizione importante nel Regno Unito, ma molto meno della percezione dell’impatto negativo del fenomeno migratorio sui servizi pubblici e sull’economia.
I cittadini hanno paura che il loro accesso al mercato del lavoro, alle case e ai servizi pubblici sarà minacciato da un processo migratorio sul quale non hanno nessun controllo. Accusare chi la pensa così di razzismo non contribuisce di certo alla causa della sinistra o a quella dei migranti. Zizek ha ragione quando sostiene che in queste circostanze chiedere alla gente “tolleranza” e “compassione” rappresenta una riposta inadeguata alla questione dell’immigrazione di massa:
L’unico modo per rompere questa situazione di stallo è andare oltre la semplice tolleranza: dobbiamo offrire agli altri [rifugiati e migranti] non solo il nostro rispetto ma la prospettiva di unirci a loro in una lotta comune, dal momento che i loro problemi, oggi, sono anche i nostri.
Zizek ha ragione a sostenere che l’unica soluzione a lungo termine è che i cittadini e i migranti comprendano la loro comunanza di interessi. In termini di politiche migratorie questo cosa significherebbe? Se prendiamo sul serio l’idea internazionalista di Zizek secondo cui i cittadini europei condividono veramente gli stessi problemi dei migranti, l’unica soluzione coerente è aprire le nostre frontiere a tutti coloro che scappano dalla povertà, dalla repressione e dalla guerra. È lecito aspettarci che Jeremy Corbyn si faccia promotore di una politica di questo tipo?
Corbyn ha più volte dichiarato che gli immigrati rappresentano un beneficio per l’economia e che sia i cittadini britannici che i migranti hanno interesse ad avere un buon livello di servizi pubblici. Ma è fondamentale comprendere che la “comunanza di interessi” di cui parla Corbyn non equivale a dire che cittadini e migranti condividono la stessa condizione di sfruttamento e di oppressione. Di certo la sua posizione non sembrerebbe giustificare una politica di frontiere aperte. Secondo la logica del suo ragionamento, gli immigrati andrebbero benvenuti solo fintanto che rappresentano un beneficio per l’economia e contribuiscono a migliorare i servizi pubblici. Il resto è affidato alla compassione. Certo, si potrebbe sostenere che in fondo la posizione di Corbyn non è così lontana dall’apertura delle frontiere. Ma qui incappiamo nel secondo problema della vecchia sinistra. Perché essa possa abbracciare l’apertura delle frontiere, dovrebbe rinunciare ad uno dei capisaldi del proprio pensiero: la fiducia nella regolamentazione dello Stato.
Nessuno meglio di Zizek incarna questo difetto. Pur rendendosi perfettamente conto che la compassione non basta, e che la soluzione è un movimento di massa trasversale in cui i cittadini facciano causa comune con i migranti, Zizek non riesce a fare il passo logico successivo: invocare l’apertura delle frontiere. Al contrario, il filosofo sloveno esclude categoricamente questa opzione:
I più grandi ipocriti sono coloro che chiedono l’apertura delle frontiere. Sanno molto bene questo non accadrà mai: si innescherebbe immediatamente una rivolta populista in Europa. Essi interpretano la parte dell’anima bella, superiore al mondo corrotto, pur continuando ad andare d’accordo con esso.
In altre parole, da un lato Zizek auspica una «lotta comune» tra cittadini e migranti, ma dall’altro ritiene che qualunque tentativo di mettere in discussione “la difesa dello stile di vita europeo” è destinato ad innescare una rivolta populista di destra. Dopo aver accusato i sostenitori delle frontiere aperte di essere «anime belle», Zizek ci offre un resoconto surreale della sua idea di «lotta comune». Esso merita di essere riportato nel dettaglio perché rappresenta un esempio perfetto della decadenza intellettuale della vecchia sinistra.
Zizek propone quattro soluzioni concrete per risolvere la crisi dei migranti. In primo luogo, suggerisce di proseguire sulla strada dell’intergovernativismo attualmente dominante in Europa: «Una cosa è chiara: la sovranità nazionale dovrà essere radicalmente ridefinita e dovranno essere concepiti nuovi metodi di cooperazione e sistemi di decisione globali».
In secondo luogo, Zizek ritiene che abbiamo bisogno di ulteriori sistemi di controllo imposti dall’alto per via intergovernativa: «come conseguenza necessaria di questo impegno, l’Europa dovrebbe imporre regole e regolamenti chiari».
In terzo luogo, propone «un nuovo tipo di intervento militare e economico internazionale… un tipo di intervento che eviti le trappole neocoloniali del recente passato».
In altre parole, Zizek propone di allargare, estendere e riorganizzare le istituzioni intergovernative sulle quali si fonda l’attuale ordine globale. Le stesse istituzioni che hanno escogitato un finto internazionalismo per sottrarre qualunque margine di manovra ai governi nazionali, come abbiamo visto nella recente vicenda greca. Le stesse istituzioni a cui fanno riferimento quegli stessi Stati occidentali che nel corso di decenni di interventi imperialisti ed umanitari hanno fatto sprofondare il Medio Oriente, l’Afghanistan e il Nord Africa nel caos, gettando le basi dell’attuale crisi dei rifugiati. Questo è quello che propone Zizek in nome della «lotta comune» tra cittadini e migranti.
La sua ultima proposta, poi, ha il sapore della beffa: nientedimeno che la riscoperta del comunismo come soluzione a lungo termine del problema. Dopo aver suggerito di rafforzare le strutture esistenti del capitalismo, Zizek propone di tingerle di rosso.
La povertà dell’immaginazione politica di Zizek sulla questione dei migranti è una conseguenza del principale difetto intellettuale della vecchia sinistra: la fiducia incrollabile nelle istituzioni dello Stato capitalista. Da quello che abbiamo visto finora, possiamo aspettarci la stessa povertà d’immaginazione anche da Corbyn. Il leader del Labour ha già dichiarato che il suo partito non ha nessuna intenzione di mettere in discussione l’apparato statale intergovernativo e antidemocratico su cui si fonda l’UE. Se da un lato è vero che l’appartenenza all’UE si fonda sulla libertà di movimento delle persone al suo interno, è anche vero che tale libertà non è il risultato di un lotta comune dal basso tra cittadini e migranti ma di una decisione calata dall’alto. La libertà di movimento stabilita nei trattati non si fonda sugli interessi comuni dei lavoratori europei ma sulle esigenze dei datori di lavoro. E la stessa libertà non è garantita a coloro che non appartengono all’esclusivo club europeo. Il sostegno incondizionato offerto da Corbyn all’UE tradisce la sua anima statalista e “regolamentista”. Il legame tra giustizia sociale e statalismo nella vecchia sinistra è giustificato dal fatto che la giustizia sociale può essere garantita solo attraverso un intervento dello Stato nella società e nell’economia. Allo stesso tempo, però, esso rappresenta un ostacolo ideologico quasi insormontabile nell’accettare l’apertura delle frontiere come soluzione alla questione dei migranti.
Lo stesso Zizek sostiene che gli europei non sono necessariamente razzisti quando dicono di voler difendere il loro “stile di vita”. Ma non ci spiega in cosa consiste questo “stile di vita”. Il che è curioso, visto che altrove nel suo articolo egli offre una caratterizzazione positiva dello “stile di vita” europeo:
I rifugiati sono il prezzo che paghiamo per un’economia globalizzata in cui le merci – ma non le persone – sono autorizzate a circolare liberamente. L’idea dei confini porosi, di essere inondati da stranieri, è immanente al capitalismo globale.
In altre parole, quando gli europei cercano di proteggere il loro “stile di vita” chiedendo maggiori controlli sui flussi migratori stanno semplicemente cercando di proteggersi dalla realtà dell’ordine economico e politico globale, nella speranza che quella realtà possa essere evasa e che le sue conseguenze negative possano essere circoscritte agli altri. È uno stile di vita che è intrinsecamente vulnerabile perché gli altri vorranno sempre condividerlo. È uno stile di vita in cui gli altri non vengono considerati come esseri umani dotati di grande potenziale, quali sono, ma unicamente come minacce nei confronti delle nostre opportunità lavorative, abitative, ecc. È uno stile di vita che è fortemente influenzato dalla vecchia concezione di sinistra secondo cui le risorse sono predeterminate e limitate.
Zizek ha ragione, dunque, a sostenere che la difesa di questo “stile di vita” non è razzista. È qualcosa di peggio, infatti: è misantropico, parrocchiale e depoliticizzante. Piuttosto che cercare di controllare i processi economici globali a cui sono esposti i cittadini europei, la reazione populista cerca di evaderli. Si tratta di una fantasia infantile che condanna i suoi seguaci europei a consumare le briciole della plutocrazia, mentre gli abitanti di terre lontane – gli altri – ne subiscono le conseguenze più nefaste. Ma soprattutto, condanna tutti noi all’impotenza politica. È quell’impotenza politica il filo rosso che unisce cittadini e migranti. Al contrario, l’apertura delle frontiere rappresenta uno stile di vita alternativo e realistico all’illusione europea: uno stile di vita che si basa sull’assumerci le nostre responsabilità collettive per le nostre esistenze, che prende atto della realtà globale in cui viviamo. Certo, non è una proposta che raccoglierà molti consensi all’inizio. Ma è l’unica base sulla quale i cittadini europei possono fare causa comune con il resto dell’umanità per cambiare in meglio la società.
Pubblicato sul blog The Current Moment il 23 settembre 2015. Traduzione di Thomas Fazi.