Bruxelles – Superato lo scoglio delle quote di redistribuzione dei rifugiati, il summit dei capi di Stato e di governo sulla crisi dei rifugiati scorre via liscio. Sul tavolo, ora, ci sono le misure che invece che dividere, uniscono: quelle per aiutare sì i rifugiati, ma fuori dall’Europa e per tentare di impedire che il flusso si ingrossi. “Sono soddisfatto, pensavo fosse una sessione tesa ma non lo è stato”, commenta a fine riunione il presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker che lo definisce un “meeting eccellente”. “Anche meglio di quello che ci aspettavamo”, fa eco Tusk, raccontando: “Nessuno puntava il dito contro gli altri. Qualcosa naturalmente resta controverso: ad esempio la discussione tra Orban e il cancelliere austriaco è stata sostanziale ed energetica”, ma “abbiamo fermato il gioco pericoloso delle accuse reciproche”.
In concreto si è parlato prima di tutto di fondi, un miliardo di euro, da versare all’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati e al World Food Programme, a fronte di stanziamenti dei singoli Stati membri che sono quasi sempre diminuiti, in alcuni casi anche del 99%. L’Ue è intenzionata ad aiutare soprattutto i Paesi del Medio Oriente che hanno nei loro campi milioni di rifugiati, spesso in pessime condizioni pessime: se Libano, Giordania e Turchia potranno offrire un’accoglienza più degna, è convinta l’Ue, forse meno migranti tenteranno il disperato viaggio verso l’Europa. Per questo si è deciso un sostanziale rafforzamento del Trust Fund per la crisi siriana. Per rafforzare la cooperazione con la Turchia (a cui la Commissione vorrebbe fare arrivare un miliardo di euro) è già stata messa in calendario, per il 5 novembre, una visita del presidente turco, Recep Tayyp Erdogan.
Ma l’assistenza sarà rivolta anche nei confronti dei Balcani occidentali sempre più colpiti dalle nuove rotte di arrivo verso l’Europa, che dovrebbero essere aiutati con 17 milioni di euro. L’8 ottobre è già stata messa in programma una conferenza di alto livello per stabilire gli obiettivi comuni. A novembre, invece, l’attenzione si sposterà sulla cooperazione con i Paesi africani, tema al centro del summit che si terrà a Valletta.
Importante, però, anche che i centri di registrazione dei migranti nei Paesi di accesso principali, talia e Grecia in primo luogo, comincino a funzionare davvero. I capi di Stato hanno messo nero su bianco una data precisa, “entro la fine di novembre”, specifica Tusk. L’Ue contribuirà agli sforzi fornendo più risorse alle agenzie Ue (Frontex, Easo ed Europol), più attrezzature agli Stati membri, ma anche assistenza nei processi di registrazione e raccolta di impronte digitali. “I leader hanno concordato che il controllo dei confini è una responsabilità comune e che non sarebbe equo lasciare tutto il peso a Italia e Grecia”, assicura il presidente del Consiglio europeo. Anche questo “sembrava un punto molto controverso, ma oggi – racconta – c’è stato un buono spirito di collaborazione”. Una volta messi in piedi i centri di registrazione, bisogna iniziare a mettere in pratica anche un vero piano di ritorni di quelli che non hanno diritto alla protezione internazionale, concordano i leader.
“Tutti abbiamo riconosciuto che non ci sono soluzioni semplici e che possiamo gestire questa sfida solo lavorando insieme, con spirito di solidarietà e responsabilità, scrivono i Ventotto nella dichiarazione finale, stabilendo che le prime “decisioni operative” sui temi più urgenti devono essere prese prima del Consiglio europeo di ottobre. Nel frattempo, però, hanno ricordato i leader, “tutti dobbiamo sostenere, applicare e implementare le regole esistenti, inclusa la regolazione di Dublino e Schengen”.
E se fino ao oggi pomeriggio parlava solo di un passettino, il presidente del Consiglio italiano, Matteo Renzi, al termine del Vertice ha definito l’accordo raggiunto “un passo avanti importante”, perché “tutti i Paesi ora hanno la possibilità di dare una mano non solo sugli hotspot, ma anche sul ricollocamento e sulla necessità che i rimpatri non siano gestiti solo dai singoli Paesi ma dall’Unione europea e della Commissione”.
Anche Alexis Tsipras, ha parlato di “un grande passo”, ed è importante che anche se “ci sono state opinioni differenti tra loro, alla fine si sia arrivati ad un consenso riguardo alla decisione di ieri dei 120mila”. Per il premier ellenico “dobbiamo mettere l’uomo davanti all’economia” e per farlo “dobbiamo lavorare insieme per aiutare i Paesi che stanno soffrendo le conseguenze della crisi in Europa centrale e la Turchia”.