di Guido Romeo, Data & Business Editor di Wired
Il prossimo ottobre Wired ha appuntamento al TAR del Lazio per argomentare il diritto di conoscere i termini dei contratti derivati stipulati dal Ministero dell’Economia e delle Finanze sul debito italiano.
Abbiamo presentato ricorso la scorsa primavera perché, nonostante questi contratti siano già costati agli italiani un aumento di 16,95 miliardi dal 2011 al 2014 e potrebbero provocare perdite per altri 42 miliardi, i termini degli accordi sono custoditi come un segreto di Stato.
Un segreto che non ha ragion d’essere perché, nelle ultime settimane, si sono moltiplicati i pareri da parte di giuristi ed economisti sulla mancanza di giustificazioni della segretezza di questi contratti di grande interesse pubblico. Basti pensare che le perdite potrebbero costare fino a 1.000 euro a ogni italiano tra i 15 e i 64 anni d’età.
Sul fronte giuridico, come avevamo già ricordato, la Commissione per l’accesso ha sottolineato che nella legislazione vigente non esistono norme che contrastino con la divulgazione di questi contratti.
In pratica il governo dovrebbe porre il segreto di stato su questi documenti per poterne motivare la segretezza sulla base del diritto.
Una seconda novità in questo senso arriva dalla riforma della Pubblica Amministrazione votata lo scorso 4 agosto, che all’art.7 – lettera h dà delega al governo per la scrittura di una nuova legge in materia di accesso all’informazione. Le indicazioni, è vero sono abbastanza generali, ma il legislatore spinge chiaramente a espandere il diritto di accesso a favore della conoscibilità di informazioni rilevanti per la vita dei cittadini. L’articolo è, tra l’altro una delega al governo a scrivere un Freedom of Information Act, una nuova legge sul diritto di accesso all’informazione, in linea con i più avanzati standard internazionali e che sarebbe perfettamente applicabile ai contratti sui derivati che chiediamo.
Sul fronte meramente economico, il ministro Padoan e la dottoressa Maria Cannata, responsabile della gestione del nostro debito pubblico, si oppongono alla divulgazione dei termini dei contratti sostenendo che rischierebbe di creare turbolenze di mercato.
Ma su questo tema è intervenuto recentemente Paolo Savona, che due o tre cose di economie le conosce visto che è stato, tra le altre cose, ministro dell’industria nel governo Ciampi, ex dirigente di Bankitalia ed ex direttore generale di Confindustria e che oggi è professore emerito di politica economica.
Lo scorso luglio, su Milano Finanza, Savona ha infatti osservato che l’aumento del debito pubblico italiano registrato dall’OCSE è superiore di diversi punti a quello dichiarato da Roma e confessa una particolare preoccupazione per il peso dei contratti derivati su queste variazioni. Soprattutto dopo aver assistito alla crisi della Grecia, che aveva usato gli stessi strumenti finanziari per camuffare il suo debito. Lo stesso Savona ha scritto al Ministro Padoan chiedendo delucidazioni, ma senza ottenere risposta.
La mancanza di trasparenza sui derivati del nostro debito era stata sottolineata alla fine di giugno anche da Gianluca Paolucci sulla Stampa, che osservava come questi contratti erano assolutamente conoscibili negli anni Novanta tanto da essere pubblicati in Gazzetta Ufficiale. Il paradosso è che oggi, invece, con mercati ben più stabili di quando non c’era l’euro, si invocano esigenze di riservatezza e di tutela del potere contrattuale dello Stato italiano.
La buona notizia richiamata da Paolucci è che Vincenzo La Via, direttore generale del Tesoro, ha annunciato di avere in preparazione il primo rapporto annuale del MEF sul debito pubblico che dovrebbe contenere nuovi elementi sui derivati. Un po’ più di quanto ci è concesso sapere oggi ma, paradossalmente, molto meno di quello che conoscevamo vent’anni fa grazie alla Gazzetta Ufficiale.
Intanto ecco un’altra buona notizia: la nostra petizione per la pubblicazione dei contratti sui derivati ha superato le 5mila adesioni e continua a guadagnare sostenitori.
Pubblicato su Wired il 7 agosto 2015.