Il risultato delle elezioni greche, l’ascesa di Podemos in Spagna, la vittoria di Jeremy Corbyn nella corsa per la guida del partito laburista britannico, dimostrano che in Europa è possibile costruire il consenso europeista attorno a forze politiche che pur contestano la gestione dell’Unione ma ne vogliono continuare a far parte, seppur in maniera fortemente critica. E’ un fenomeno nato lentamente, certamente più gravido di riflessioni rispetto alla contestazione contro l’Unione che è venuta in questi anni dalle forze definite genericamente “populiste”.
Che una risposta, anche qui, genericamente, “di sinistra” abbia avuto necessità di più tempo per arrivare era nelle cose. Rispondere “di pancia” è sempre più facile, dire “fa tutto schifo e dobbiamo andarcene” è una risposta sciocca ma che può trascinare milioni di elettori delusi, che non hanno o faticano a trovare lavoro, che si sentono derubati per sostenere i paesi meno virtuosi, che vedo con preoccupazione “l’invasione dei migranti” (anche se, su questo specifico tema, autorevoli studi hanno dimostrato che non esiste nessuna evidenza scientifica che la paura dei migranti sposti significative masse di votanti). La sinistra in Europa è, nel complesso, una forza storicamente minoritaria, anche il centro-sinistra fatica ad affermarsi. Però è una forza fatta, di norma, di riflessioni, di elaborazioni che tendono al lungo periodo, alle volte anche velleitarie e spesso con raggruppamenti altamente frammentati. Sono rarissimi i casi come quello di Syriza, dove un leader carismatico riesce a tenere insieme in una coalizione tanti gruppi diversi.
Stanno nascendo dei leader a sinistra, non sappiamo quanto potranno durare, ma ci sono. Fino a oggi Alexis Tsipras ha dimostrato di essere un asso nella ricerca e nella gestione del consenso nel proprio paese. Sa ragionare con freddezza ma sa anche scaldare i cuori, tenere accesa la speranza. Il fatto che a questo turno elettorale solo la metà dei greci sia andata alle urne è stato notato da molti, ma ciò non accade solo in Grecia, succede in molti Paesi. La disaffezione alla partecipazione democratica è un grande tema, con tanti aspetti, che merita una discussione a parte. Non è un problema di Tsipras e non di altri, basta pensare a quanta poca gente vota ad esempio negli Usa.
Tsipras è stato e si è confermato premier, ora ha un consenso stabile, ha una maggioranza che va ben oltre la coalizione di governo per realizzare il piano concordato con l’Unione. Può esser visto, ora, come il capo di un governo saldo, che può garantire alla Grecia qualche anno di lavoro senza interruzioni, condizione indispensabile per fare tutto quel che si deve, condizione che lui è riuscito a creare. Non sappiamo se Corbyn o Iglesias diventeranno mai capi di governo (per il primo sembra più difficile che per il secondo, ma ha alcuni anni di fronte a se per lavorarci). Sono però, questi tre leader, il punto di partenza di una riflessione che destra e sinistra, e centro, posso ora sviluppare affrancandosi dalle risposte frettolose che tanti leader di partiti “tradizionali” hanno saputo dare alle istanze, spesso giuste, avanzate dalle forze populiste. Ora si può cominciare a ragionare su come salvare, da dentro, questa Unione europea, come in una coppia in crisi, dove i due partner non cercano la via d’uscita trovandosi un amante o scegliendo la solitudine, ma decidono che il loro futuro è insieme e in questa prospettiva cercano di trovare un nuovo modo costruttivo di continuare.
Tsipras ha lavorato di strategia e di tattica, ha avuto alti e bassi, ha avuto un amico e poi un avversario che, come scrive bene Thomas Fazi in un commento di oggi su Oneuro, ha poi sostenuto un “neo-partito molto popolare nella galassia digitale della sinistra”, che però non ha ottenuto neanche un seggio in Parlamento (eppure era frutto della defezione di 35 deputati di Syriza). Yanis Varoufakis è piaciuto più alla stampa e alla “sinistra digitale” che alle persone che cercavano qualcuno che li governasse. Tsipras no, è rimasto fermo nel suo progetto, ha ottenuto, come scrivemmo tempo fa, quello che voleva, di riaprire la discussione sul debito e di dimostrare che alle “istituzioni” ci si può anche opporre, si può offrire un modello alternativo. E’ una strada lunga, difficile, ma dalle crisi nasce spesso qualcosa di buono, che non può essere solo la creazione, fondamentale, di un’Unione bancaria o fiscale, o anche energetica, ma di un’attenzione, questa sì, molto politica, a quel che chiedono i cittadini europei. Gli strumenti spesso possono andar bene (o anche no, se son malfatti), sono i contenuti, le idee che gli stanno dietro che ne definiscono la forma, il coinvolgimento dei cittadini, il loro sostegno. Elementi che, un una società democratica come è quella europea, ne determinano anche la possibilità di successo.