Roma – L’Italia è pronta a forzare la mano per portare a casa l’accordo europeo sulla redistribuzione dei rifugiati tra i Paesi europei. Ad avvisare è il sottosegretario agli Affari europei, Sandro Gozi che, intervenendo al dibattito How To Govern Europe organizzato a Roma da Eunews spiega: “Noi continuiamo a cercare il compromesso ma siamo pronti anche ad andare a un voto a maggioranza” quando il tema sarà sul tavolo della riunione straordinaria dei ministri degli Interni Ue martedì e, in mancanza di un accordo, su quello dei leader mercoledì. È “importantissimo nel vertice di mercoledì prendere una decisione chiara e forte perché se la Turchia prende la decisione di aprire le porte dei campi profughi rischiamo di avere un flusso verso l’Europa senza precedenti”, concorda anche il vicepresidente del Parlamento europeo, Antonio Tajani.
Per i relatori che oggi a ‘How To Govern Europe?’ hanno discusso del tema, una soluzione europea deve partire da vie di accesso legali, passaggi sicuri all’interno dell’Europa, vere politiche di integrazione, chiarezza sull’uso dei fondi pubblici. “Bisogna fare in modo che l’Europa predisponga vie di accesso legali a chi fugge”, chiede il direttore generale di Medici senza frontiere, Gabriele Eminente: in questo modo, dice, “si farebbero cessare indicibili sofferenze nei deserti, nei centri di transito, in Libia, in mare e si metterebbero in ginocchio in un attimo quelli che trasformano questa tragedia in un business”. Secondo gli ultimi dati delle Nazioni Unite, riporta Eminente, già 411 mila persone hanno provato a raggiungere l’Europa e di queste 3 su 4 vengono da Siria, Afghanistan ed Eritrea: un numero che, fa notare, “può sembrare importante” ma che rappresenta “lo 0,1% della popolazione europea”. Per il direttore di Medici senza frontiere “il fatto di erigere nuovi muri rappresenta plasticamente la sconfitta dell’Europa” mentre “serve un cambio di prospettiva a 180 gradi”: servono “un sistema comune di asilo che garantisca procedure armonizzate e standard di accoglienza comuni” e poi un “ripensamento al regolamento di Dublino” per fare in modo che non siano solo i Paesi di frontiera, come l’Italia a farsi carico del problema. Negli ultimi anni, secondo Eminente, il nostro Paese “ha fatto passi avanti” ma continua ad avere un “approccio emergenziale” che è chiaramente “un controsenso” rispetto ad un problema strutturale.
Altro elemento fondamentale secondo Marco De Ponte, segretario generale di ActionAid è portare avanti un lavoro di “accountability” per “chiedere alle istituzioni come vengono utilizzati i fondi pubblici” dando “a ciascuno il suo ruolo, senza duplicare gli sforzi”. Ad esempio, ora si discute della possibilità di scomputare dal calcolo del 3% le risorse per gestire sfide di interesse comune, come l’immigrazione: bisognerebbe capire, sottolinea però De Ponte, “come queste risorse si possono utilizzare, se per andare a cercare la gente in mare, per fare accoglienza o per integrare nel welfare persone di cui dobbiamo renderci conto che abbiamo bisogno”.
A proposito delle persone in arrivo, poi, “bisogna stare molto attenti a distinguere tra migranti economici e rifugiati”, avvisa Marina Petrillo, producer di Reported.Ly: il rischio “è quello di creare migranti di serie A e di serie B: si comincia a distinguere per colore della pelle, per quanto sono in grado di contribuire a economia del Paese”, sottolinea. Un errore che l’Europa non può fare, dopo quello, sottolinea Petrillo, di avere “fatto finta di non vedere” per anni quello che stava succedendo in Siria, anche se ora “è molto comodo dare tutta la colpa all’Isis”.
In effetti “in Libia e in Siria non vediamo un punto di fine”, sottolinea Jean-Christophe Dumont, capo della divisione immigraizone dell’Ocse. Questo è uno degli aspetti che rende questa crisi molto più complicata di tutte le precedenti insieme ai numeri: “A fine anno arriveremo a un milione di domande di asilo in Europa di cui 400-500 mila riceveranno probabilmente lo status di rifugiato”, fa i conti Dumont. Ma a rendere difficile la cosa anche il fatto che le persone si dirigono verso pochi punti di accesso specifici (Italia, Grecia, Ungheria) creando una pressione enorme. Senza contare “il contesto economico” in cui tutto questo avviene, ricorda Dumont: “Abbiamo ancora una forte disoccupazione – ricorda – e questo crea una reazione diversa”. Anche se ci sono fattori oggettivi di difficoltà però “questa crisi si può gestire” è sicuro il funzionario Ocse ma “nessun Paese può farlo singolarmente”. Serve quindi un percorso spedito per mettere in atto le proposte della Commissione ma, in seguito, bisogna anche “essere sicuri che chi ottiene lo status di rifugiato troverà spazio nelle società e nel mercato del lavoro perché se non mettiamo in atto meccanismi di integrazione avremo grandi conseguenze”.