Bruxelles – Trasparenza, uniformità e armonizzazione delle regole e maggiore attivismo in ambito internazionale. Sono questi, come emerso dall’incontro “Priorità dell’industria alimentare italiana in Europa”, gli ambiti nei quali il settore alimentare italiano chiede all’Unione Europea maggiore impegno. Nel corso del dibattito, che si è svolto al Parlamento europeo di Bruxelles, diversi addetti ai lavori del mondo industriale e politico hanno affrontato in chiave europea i temi scottanti del settore alimentare tra cui l’etichettatura dei prodotti, il trattato di libero scambio con gli Usa (Ttip), la questione del latte in polvere, la contraffazione, gli atteggiamenti sbagliati dei governi nei confronti delle abitudini alimentari dei cittadini. Questo perché è fondamentale la massima attenzione dell’Ue nei confronti di un settore che “dà lavoro a 400 mila dipendenti e 800 mila allevatori per un giro di 134 miliardi”, come ricordato dal presidente di Federalimentare, Luigi Scordamaglia.
L’etichettatura – L’etichettatura è senz’altro uno dei temi più controversi. Secondo Scordamaglia essa “è importantissima e portatrice di valore aggiunto ma – puntualizza – le regole devono essere definite a livello comunitario. Tutte le norme adottate a livello nazionale sono inutili o controproducenti”. Altrimenti si rischia una forte penalizzazione rispetto agli altri paesi Ue: “Guai a pensare che l’etichettatura riguardi i produttori italiani in Italia e non i produttori stranieri che commercializzano i loro prodotti in Italia”, aggiunge Scordamaglia.
In particolare, per quanto riguarda l’indicazione di origine delle carni nei prodotti lavorati, il presidente della commissione Ambiente, Giovanni La Via (Ppe), ha ricordato che l’esecutivo comunitario “ha presentato un pacchetto di possibilità che prevede da un lato lato rimanere sullo status quo (indicazione di origine su base volontaria), un’estensione dell’indicazione di origine sul modello ‘Ue o extra Ue’, o una indicazione più specifica che indichi il Paese di origine, sia esso uno Stato membro o no”.
Immagini dissuasive sugli alcolici – All’incontro si è parlato anche della tendenza che si sta affermando in alcuni Paesi di incidere sulle abitudini alimentari dei cittadini, ritenute sbagliate, con misure aggressive. In Irlanda, ad esempio, si pensa di introdurre per gli alcolici l’obbligo di etichette contenenti avvertimenti sanitari o immagini shock come per le sigarette. Per La Via si deve però partire dalla consapevolezza che “il danno alla salute non dipende dal consumo di bevande alcoliche ma da come si consumano”. Dello stesso parere Scordamaglia, che aggiunge: “Quella di criminalizzare determinati alimenti e bevande è una scorciatoia di chi non vuole investire seriamente nell’informazione e formazione ‘alimentare’ dei propri consumatori”. Quindi informazione, formazione ma non allarmismi, puntualizza La Via: “Noi vorremmo che tutte le informazioni sul consumo responsabile vengano rese note, senza abusi”. E senza penalizzare un settore importantissimo per l’economia italiana, come quello enologico. In sede europea, spiega La Via “abbiamo parlato dell’argomento e una larga maggioranza in Parlamento e Commissione ha una posizione contraria nei confronti di questi “claim” di accompagnamento ai prodotti alimentari. Per quanto riguarda la strategia europea sull’alcol – aggiunge – dobbiamo averla su alcuni temi, rispetto al valore energetico, dieta e benessere. Invece l’abuso e consumo di alcol si deve combattere con altri strumenti”. E, per quanto riguarda quei Paesi dove l’alcol è un problema serio bisogna “lanciare campagne informative, sviluppare azioni mirate, finalizzate al far comprendere gli effetti. Il consumo generalizzato come quello dei Paesi nordici è diverso da quello di Paesi nei quali il consumo è normale, ad esempio la produzione enologica in Italia ha portato molte cose buone”. E conclude “non possiamo penalizzare un settore perché c’è una cattiva abitudine che non si modifica con l’immagine sull’etichetta”.
Ttip – Il Ttip è stato definito una grande opportunità e strumento di apertura sui mercati. Difatti, come sottolinea il capogruppo S&D in commissione Agricoltura e Sviluppo Rurale, Paolo De Castro “stiamo parlando di un possibile 24% di aumento dell’export solo negli Usa”. L’iter politico è ancora incerto. Come spiega De Castro, “il Parlamento si è espresso. Stiamo aspettando novità dagli States, vigilando che l’accordo commerciale col Pacifico non penalizzi l’Europa”.
Lotta alla contraffazione – Anche il tema della lotta alla contraffazione, come spiega il presidente di Federalimentare “è una partita per il nostro futuro, dal momento che parliamo di 34 miliardi di export mentre gli introiti dell’Italian sounding, i cibi denominati come quelli italiani ma prodotti altrove, arriva a 60 miliardi”. Per contrastare l’infausto fenomeno, aggiunge Scordamaglia, “stiamo lavorando con le organizzazioni e il governo italiano su due linee, la prima è dotarsi di uno strumento di tutela legale negli accordi bilaterali, la seconda è creare strumenti legali di protezione che non siano semplicistici (es: regole coesistenza)”.