Bruxelles – Appelli, arresti, inviti, vertici, accoglienza, respingimenti, morti. E’ il grande e drammatico ingorgo europeo creato dal grande afflusso di rifugiati (perché l’ottanta per cento delle persone che arrivano in queste settimane fuggono dalla Siria, dall’Eritrea dall’Afghanistan e da altre zone di guerra) che nelle capitali dell’Unione semplicemente non si sa come gestire. Anche l’appello all’accoglienza fatto da papa Francesco alle parrocchie sta ricevendo tanti, inattesi, rifiuti. Oggi è toccato al presidente della Repubblica Sergio Mattarella lanciare il suo appello da Vienna, dopo un incontro con il suo omologo tedesco. “Serve un’assunzione di responsabilità da parte dell’Unione e al suo interno di tutti i Paesi – ha detto il capo dello Stato – siamo di fronte a un fenomeno epocale, crescente”. Secondo Mattarella, “i singoli Stati non sono in condizioni” di gestire l’emergenza, che può essere affrontata solamente “con una gestione comune dell’Unione”. Che però, al momento, sembra molto lontana da venire. “La mancanza di unità interna- ha affermato ieri davanti al Parlamento europeo l’Alta rappresentate per la politica estera dell’Ue Federica Mogherini – ha un impatto negativo rispetto alla credibilità esterna dell’Europa”, ammonendo che “nel mondo siamo ancora percepiti come i campioni della tutela dei diritti umani. Per questa ragione l’azione interna Ue è così importante per la sua azione esterna”.
Qualche giorno fa, di fronte alla grande apertura della cancelliera tedesca Angela Merkel che si diceva pronta ad accogliere centinaia di migliaia di persone si commentò che ecco, Berlino aveva assunto di nuovo il ruolo di leader, indicando con coraggio la strada a tutti gli altri. Peccato che, solo tre giorni dopo, la Germania abbia reintrodotto i controlli alle frontiere, “per gestire l’afflusso in maniera più ordinata”, ha spiegato Merkel. Un passo indietro di fatto, che crea un secondo, più modesto “tatto”, dopo quello costruito dal governo Ungherese che, andando per le spicce, ha costruito delle barriere fisiche di filo spinato al confine con la Serbia per, spiegano “fare il nostro dovere per difendere l’Europa cristiana”. Budapest poi continua nella sua foga di chiudersi (con il rischio di restare lei impigliata nelle sue stesse reti) e sta progettando un muro anche al confine con la Romania, altro paese comunitario però, a differenza della Serbia. E infatti Bucarest protesta, lamentando “la violazione dei fondamentali principi di libertà di movimento nell’Unione”. Ma il governo di Victor Orban neanche risponde.
Ad Horgos, sul confine ungherese, sono anche scoppiati alcuni incidenti, i migranti cercano di superare comunque il filo spinato usando delle coperte per proteggersi. “Nessun muro, nessuna recinzione fermerà la disperazione di chi è disposto a mettere in pericolo la vita propria e dei propri figli pur di scappare dalla schiavitù: sarà meglio che lo capiscano tutti, prima o poi”, ha detto ancora ieri Mogherini.
Il flusso, trovato il filo spinato in Ungheria, però non si ferma, non può fermarsi, sono centinaia di migliaia di persone che stanno arrivando e ora tentano di cambiare strada, di passare per la Croazia (Paese Ue ma fuori da Schengen, che sta già permettendo l’accesso i migranti) per poi raggiungere la Slovenia (Schengen) e da lì l’Austria (anch’essa Schengen, ma ha reintrodotto i controlli, pur promettendo che non rimanderà nessuno verso l’Ungheria) e poi la Germania, la meta finale dichiarata dalla gran parte di loro. Vienna annuncia, ed anzi ha già realizzato i primi controlli alla frontiera, e pian piano la libera circolazione, almeno nell’Europa centrale, sta diventando un ricordo del passato. Un po’ per tutti, perché anche le strade sono bloccate, e dunque non circolano né persone né merci.
Cresce intanto anche la protesta di Serbia, Montenegro, Macedonia e altri Paesi dei Balcani, che si trovano con questi enormi afflussi di persone che, pur non volendo restare lì, comunque sul loro territorio passano, e devono essere assistite.
L’Unione europea sta rispondendo in maniera confusa. Dopo il vertice dei ministri degli Interni che è stato praticamente un fallimento lunedì scorso a causa del rifiuto dei governo di Polonia, Slovenia, Ungheria e Slovacchia di accettare il piano di redistribuzione dei migranti, la presidenza di turno lussemburghese ne ha convocato un altro per martedì prossimo, ma con un ordine del giorno piuttosto “prudente”, minimale, come si può ben vedere qui sotto.
Intanto da Berlino Merkel chiede anche un summit straordinario dei capi di Stato e di Governo da tenere al più presto, prima di quello ordinario previsto il 15 e 16 ottobre. “Il problema è europeo e può essere risolto solo insieme – ha detto la cancelliera – e per questo ho chiesto un vertice per le prossime settimane”. Merkel ne ha anche per Italia e Grecia, alle quali chiede di istituire al più presto Hotspot e centri di identificazione, impegni che Roma e Atene hanno ma che stanno faticando a realizzare. A Berlino nel governo c’è anche chi, come il ministro degli Interni Thomas de Maiziere chiede che i Paesi che rifiutano di accogliere una quota di migranti così come chiesto dal piano della Commissione europea per ora bloccato sul tavolo dei ministri degli Interni per ridistribuirne 160mila vengano penalizzati, magari sospendendo l’erogazione dei fondi strutturali.
Oggi poi in apertura della sessione plenaria, alle 15.00, il Presidente del Parlamento europeo Martin Schulz chiederà di votare giovedì, con procedura di urgenza, il meccanismo per ricollocare 120.000 richiedenti asilo provenienti da Italia, Grecia e Ungheria verso altri Stati membri. “Va risolta subito la vergognosa situazione di almeno 50.000 persone, tra cui molte donne e bambini, intrappolate nella morsa infernale nei Balcani”. Lo ha chiesto la capodelegazione degli eurodeputati Pd, Patrizia Toia, intervenendo oggi al Parlamento europeo. Per il relatore del provvedimento sulla redistribuzione dei rifugiati, la vicepresidente del gruppo Verdi Ska Keller “il Parlamento europeo vuole inviare un segnale forte ai ministri degli Interni degli Stati membri perché concordino finalmente su una soluzione inclusiva ed equa per entrambi, gli Stati e i rifugiati. I deputati dovrebbero pertanto sostenere la proposta della Commissione europea su un intervento d’emergenza e vincolante”.