di Len McCluskey, segretario generale di Unite the Union, il più grande sindacato britannico
L’elezione di Jeremy Corbyn alla carica di leader laburista con un mandato talmente ampio da rimpicciolire quello dato a Tony Blair 21 anni fa è l’evento più straordinario nei 45 anni in cui sono stato un membro del partito. Dire che questa è una vittoria della speranza può suonare banale e come un luogo comune, ma è davvero l’unica spiegazione di quel che è accaduto.
Questa vittoria travolgente presso tutte le parti dell’elettorato del Labour – compresi i membri a pieno titolo del partito – è composta, credo, per tre quarti di ottimismo e per un quarto di un ripudio del passato “New Labour”. Questa è la ragione per cui tutti i discorsi sul Labour che torna indietro agli anni Ottanta risultano così fuori luogo. Le centinaia di giovani che affollavano la sede del sindacato Unite ogni sera durante la campagna di telefonate per Corbyn non avevano grande interesse per quel decennio ormai lontano.
I tempi che ricordano con un brivido sono invece ben più recenti: la guerra in Iraq nella quale Blair ci ha trascinato, e contro la quale molti di loro hanno marciato mentre erano ancora a scuola; e il crollo economico del 2008 causato dai banchieri e dalle istituzioni della City ai quali il New Labour ha incoscientemente tenuto il sacco.
La linea da nostalgici del New Labour sul fatto che «abbiamo vinto tre elezioni» sbaglia il conto di milioni. Per tutte le riforme positive, è un passato al quale nessuno vuole tornare. Una cosa è fuor di dubbio: il blairismo è morto senza rimpianti.
Ma, soprattutto, le decine di migliaia che accorrono per impegnarsi con il partito laburista sono preoccupati per il futuro. Il messaggio di Corbyn – di un genere che non hanno mai sentito da un politico di prima linea nella loro vita – parla alle loro speranze e aspirazioni. Egli offre un’alternativa sia nello stile sia nella sostanza.
La politica tradizionale per un’intera generazione è stata condotta in termini di un minimalismo gestionale che stava entro stretti parametri ben definiti. Era diventato quasi democraticamente inammissibile avanzare idee che rigettassero l’opinione dominante in favore del libero mercato, della deregolamentazione, delle privatizzazioni e dell’austerità.
La campagna di Corbyn è stata pertanto un’oasi nel deserto della politica neoliberale, e questo è il motivo per cui le classi dirigenti, compresa la classe dirigente del partito laburista, sono state così aggressive nel condurre i loro attacchi. Il compito ora è quello di ri-fertilizzare il paesaggio circostante.
Molte delle istanze politiche di Corbyn sono attraenti per un ambito che si estende ben oltre la sinistra. Lo sono per coloro che non capiscono il motivo per cui i poveri dovrebbero pagare per gli errori dei banchieri e ritengono che il carico fiscale debba essere più equamente distribuito. Lo sono per coloro che pensano che un’economia riequilibrata, che sia meno dipendente dai servizi finanziari – proposta da tutti i partiti, ma eseguita da nessuno – abbia un senso.
La rinazionalizzazione delle ferrovie richiama un enorme sostegno. E un politico la cui politica estera non comporti il ricorso immediato all’unità di comando dei bombardieri ma tratta i rifugiati come esseri umani, parla a molte più persone di quanto gli attacchi a Corbyn indicherebbero.
È vero, ha una montagna da scalare. I conservatori stanno per rilanciare le politiche di smantellamento del movimento operaio. La loro proposta di legge sui sindacati, che sta per essere discussa domani, mira a rendere gli scioperi impossibili, nonché a ridurre i sindacati – attraverso un sistema bizantino di dettami – a una sorta di organi consultivi industriali, fino a marginalizzare il nostro coinvolgimento nella politica, facendo morire di fame l’opposizione ufficiale sul piano dei finanziamenti.
Sono talmente dediti a questo ordine del giorno che perfino i diritti più elementari, comprese la libertà di parola e la libertà di associazione, sono in pericolo. Tutto quello che i conservatori possono fare per manipolare il sistema politico sarà tentato: più lord nominati, meno parlamentari eletti, circoscrizioni ridisegnate sulla base di liste elettorali da cui mancano milioni di giovani e i più poveri.
Questo è il nemico che il rinato partito laburista si trova ad affrontare. L’intensità e la gravità degli attacchi autoritari di David Cameron finiranno, credo, per aiutare Corbyn in un aspetto. Spingerà tutti gli elementi del movimento operaio e tutte le parti del partito a stare insieme di fronte al nemico comune. Sono convinto che non ci saranno purghe né una caccia alle streghe, contrariamente alle speculazioni allarmiste dei media. Non solo tutto ciò sarebbe contro la natura di Corbyn, ma andrebbe anche in contrasto con la sua intenzione di democratizzare il processo decisionale del Labour e di includere i tesserati e i sostenitori più strettamente nella determinazione delle priorità del partito.
Questo è davvero un nuovo tipo di politica. L’epoca della condanna nei confronti del politico disposto a offrire alternative socialiste allo status quo – e abbastanza sicuro di sé da dire che non dobbiamo prendere la nostra società frantumata come un dato immutabile – si sta sfaldando. Non sarà la rivoluzione francese, ma si tratta di un alba incantevole da salutare.
Articolo apparso sul Guardian. Traduzione di Pino Cabras.