Bruxelles – Che Jean-Claude Juncker abbia intenzione di andare dritto al punto, lo si capisce già dall’esordio davanti all’Aula del Parlamento europeo di Strasburgo: “È finito il tempo del business as usual, non è il momento dei discorsi vuoti ma della schiettezza”, chiarisce prendendo la parola per il suo primo discorso sullo Stato dell’Unione. E infatti poco dopo la schiettezza arriva: “L’Unione europea non versa in buone condizioni”, diagnostica preoccupato il presidente della Commissione europea. Un giudizio tanto più grave se tracciato da uno che si dichiara normalmente “non incline al pessimismo”. Ma le difficoltà di questo momento non si possono nascondere: “Manca l’unione in questa Unione e manca anche l’Europa in questo momento”, non fa sconti Juncker.
SOLIDARIETA’ CARENTE – A dimostrarlo la reazione davanti a quella che dovrebbe essere la “priorità assoluta” da affrontare e cioè la crisi dei rifugiati. L’Europa si è dimostrata “molto carente sulla solidarietà”, denuncia Juncker, “tanti hanno puntato il dito gli uni contro gli altri, ci sono state accuse reciproche, tanti hanno incolpato Bruxelles”. Ma invece di accusarci, invita, “tutti dovremmo ricordare che l’Europa è un continente in cui quasi ciascuno di noi prima o dopo è stato un rifugiato” e mettere da parte la rabbia che “non ci porta da nessuna parte e non aiuta i rifugiati e i profughi”. E ce ne sono tanti da aiutare. Solo dall’inizio dell’anno ne sono arrivati in Europa oltre 500mila fa i conti il capo dell’esecutivo Ue: oltre 200mila in Grecia, più di 250mila in Ungheria e 120mila in Italia. “Numeri impressionanti, per alcuni spaventosi. Ma non è il momento di lasciarsi spaventare – esorta Juncker – è il momento di un azione audace e concertata”.
QUOTE OBBLIGATORIE – A partire dallo snodo cruciale su cui il presidente della Commissione chiede una svolta che non sarà facile da ottenere: la redistribuzione di 120mila rifugiati (oltre ai 40mila di cui si parla da maggio) da Italia, Grecia e Ungheria perché questi Paesi “non possono essere lasciati soli di fronte a questa sfida gigantesca”. Questo “dovrà essere fatto per via obbligatoria”, chiarisce Juncker chiedendo che la proposta sia adottata già al Consiglio dei ministri Ue in programma per il 14 settembre. “Parliamo di esseri umani, non di numeri”, si prepara alle polemiche Juncker, chiarendo anche che non è accettabile alcuna “distinzione tra cristiani e altri”. In Europa “abbiamo già fatto esperienze di questo tipo di distinzioni di credo ed etnia”, manda a dire in particolare al premier ungherese Viktor Orban che ha lamentato che un afflusso eccessivo di musulmani potrebbe inquinare l’identità culturale del Paese.
REVISIONE DUBLINO – Ma quella dei 120mila è solo una misura emergenziale. Poi occorre mettere mano a Dublino per creare una “vera politica di asilo”, con un “meccanismo di redistribuzione permanete per affrontare situazioni simili più agevolmente in futuro”. “Abbiamo bisogno di più Europa nella nostra politica di asilo, di più unione nella nostra politica dei rifugiati”, sprona Juncker dicendosi anche “molto favorevole” all’idea che i richiedenti asilo possano lavorare e guadagnare nel periodo di attesa di valutazione della loro domanda. “Lavorare è questione di dignità e noi dovremmo fare tutto il possibile per modificare la legislazione nazionale e consentire ai richiedenti asilo di lavorare”, insiste Juncker.
SCHENGEN NON SI TOCCA – Certo occorre anche “un maggiore sforzo per il controllo dei confini esterni” se vogliamo salvaguardare i privilegi della libera circolazione nell’area Schengen, il “un simbolo unico di integrazione europea che non verrà abolito sotto questa Commissione”, giura Juncker. Per questo, propone, bisogna rafforzare il ruolo di Frontex per farlo diventare una vera guardia di frontiera e di confini efficace entro la fine di quest’anno.
IMMIGRAZIONE LEGALE – Rafforzare il controllo ai confini esterni non significa però chiudere le porte. Anzi. Bisogna anche “considerare canali di immigrazione legali”, apre il presidente dell’esecutivo Ue. Questo, dice, permetterebbe di “gestire meglio l’immigrazione e scardinare il lavoro dei trafficanti di esseri umani”, ma farebbe bene anche all’Europa che “ha bisogno di talenti che vengono da ovunque nel mondo”. Insomma il fenomeno migratorio deve passare da essere un problema a una risorsa”.
APPLICARE REGOLE ESISTENTI – Nel frattempo tutti gli Stati Ue devono impegnarsi ad applicare le regole esistenti. “In Europa abbiamo standard comuni su come accogliere richiedenti asilo nel rispetto della dignità, abbiamo criteri sulla procedura da seguire e per decidere se abbiano diritto di protezione, ma questi standard – ammonisce Juncker – vanno anche applicati e rispettati e nella prassi europea e non è così”. Per questo prima dell’estate la Commissione ha avviato 32 procedure di infrazione per ricordare agli Stati quanto rimane da fare e un’altra serie di procedure di infrazione sull’immigrazione, avvisa Juncker, “seguirà nei prossimi giorni”.
LISTA PAESI DI ORIGINE SICURI – Altro passo del piano della Commissione sull’immigrazione è la predisposizione a livello europeo di “una lista di Paesi di origine sicura”, quelli che rispettano i criteri di democrazia, stato di diritto e da cui i migranti non hanno motivo di fuggire. Ne faranno parte, come già anticipato, anche tutti i Paesi candidati all’adesione all’Ue. E poi c’è il lavoro sul versante politica estera su cui “dobbiamo essere più forti e compatti”, sottolinea Juncker. La Commissione propone l’istituzione di trust fund da 1,8 miliardi di euro per l’emergenza nel Sahel, nel Corno d’Africa, nell’Africa settentrionale. Obiettivo creare stabilità e limitare gli spostamenti forzati e crisi future.
NON CEDERE A RICATTI – “Chi va a dare fuoco ai campi degli immigrati non è Europa”, chiarisce Juncker. “L’Europa – dice – è il panettiere di Kos che regala pane ai rifugiati, gli studenti che li aiutano alla stazione in Ungheria, o chi a Monaco li accoglie con applausi”. Il viaggio verso quell’Europa “è lungo e il momento è pieno di difficoltà”, ammette Juncker, spronando tutti ad essere “all’altezza delle aspettative” senza mettere in dubbio i fondamenti dell’Unione. Se non ci fosse l’Ue, avverte, “ci sarebbero grandissime debolezze”. Per questo è necessario “non cedere a questo ricatto e continuare la nostra opera”.