Bruxelles – Gli otto referendum promossi da Pippo Civati e la sua creatura politica, Possibile, sono una “sfida ambiziosa” e una “risposta alla crisi di rappresentanza”, ma soprattutto alla crisi della sinistra, che deve capire che per “rimettere insieme i suoi pezzi, deve smetterla con le alchimie verticistiche e ripartire da battaglie che sono già in corso, cercando di unirle”. Elly Schlein, eurodeputata fuoriuscita dal Pd per aderire a Possibile, nel suo ufficio di Bruxelles è indaffarata per l’impegno non facile di contribuire alla raccolta delle 500mila firme, necessarie per ognuno degli otto quesiti, che devono essere depositate entro la fine del mese. È abbronzata ma dice che di vacanze non ne ha viste poche. “A mare ci sono potuta andare in alcune delle tappe del coast to coast che abbiamo fatto quest’estate per l’inizio della raccolta firme”.
Crede che riuscirete a raccoglierle in tempo?
“Sicuramente è una sfida ambiziosa, ma siamo fiduciosi, l’obiettivo è assolutamente raggiungibile. Certo dipenderà anche da quanto ne parleranno i media, da quante persone si attiveranno, dipenderà da ciascuno di noi, ma abbiamo assolutamente le potenzialità con mille autenticatori in giro per l’Italia. Dal lancio di Possibile il 21 giugno scorso sono nati 180 comitati con circa 4mila iscritti. Il 5 e 6 inizieremo con mille banchetti in città e Comuni più piccoli per dare un’iniezione di forza e i cittadini iscritti all’Aire possono firmare anche all’estero nelle citta dove sono stati depositati i quesiti come Bruxelles ad esempio”.
Gli otto quesiti spaziano su temi molto diversi, dal lavoro, all’ambiente, alla scuola.
“I primi due sono sulla legge elettorale per eliminare i capilista bloccati e la possibilità di candidarsi in più collegi che impediscono di ricostruire il rapporto tra rappresentante e rappresentato. Tre sono su temi ambientali e contro le trivellazioni, è incredibile che mentre il resto del mondo si interroga su un modello non basato sul carbon fossile, noi in Italia decidiamo di nuovo di bucare il nostro terreno, per andare a prendere poi pochissimo petrolio che non basterebbe nemmeno a coprire il nostro fabbisogno energetico per 3 anni. Poi contro la politica delle grandi opere, abbiamo visto che limitare controlli e procedure ordinarie ha causato il proliferare di casi di corruzione e commistione tra politica e affari. Sul Jobs act ci pronunciamo contro la possibilità di demansionamento e per ristabilire le tutele in caso di licenziamento illegittimo”.
In questa battaglia però vi siete ritrovati da soli, le altre forze alla sinistra del Pd non hanno voluto aderire.
“Non siamo soli, con noi ci sono anche Green Italia, Azione Civile, ma soprattutto tante associazioni e cittadini, anche sostenitori delle forze che non ci hanno accompagnato. È questo proprio il senso di questa iniziativa: in un momento in cui c’è astensionismo dilagante e crisi della rappresentanza bisogna ridare la parola ai cittadini su riforme su cui paradossalmente non ha mai votato nessuno, visto che non erano nel programma del Pd e Italia bene comune alle ultime politiche e nemmeno nel programma con cui Renzi ha vinto le primarie interne. Non a caso anche due presidenti di Regione del Pd, come quelli di Puglia e Calabria, Michele Emiliano e Mario Oliverio, hanno firmato”.
Vi hanno accusato di essere partiti da soli, senza dar tempo alla discussione con gli altri
“Quando ha lanciato l’idea appena uscito dal Pd lo scorso 13 maggio, Pippo si è rivolto a tutti i cittadini ma anche agli interlocutori politici: movimenti, partiti, associazioni. Alcuni hanno risposto e contribuito a scrivere i quesiti, altri hanno preferito non aderire. Da maggio a luglio abbiamo cercato di lanciare nel dibattito la proposta e discuterla con chiunque, alcuni volevano più tempo per discutere ma il tempo non c’è: se le firme non si raccolgono ora si voterà nel 2017 o in caso di elezioni la consultazione potrebbero slittare addirittura al 2018, a quel punto le trivelle saranno già all’opera, la riforma della scuola avrà prodotto danni per un ciclo scolastico, si sarà andati al voto con l’Italicum e dovremmo tenerci il Parlamento di nominati, si sarà permesso il demansionamento e lo stravolgimento delle tutele per troppo tempo. Insomma l’efficacia dell’obiettivo sarebbe stata molto diminuita: bisogna stoppare subito gli effetti più pericolosi di queste riforme. Per questo abbiamo deciso di andare avanti comunque ma questo non è assolutamente da considerare solo il referendum di Civati o di Possibile”.
La sinistra italiana si è dimostrata però ancora una volta divisa.
“Nel merito dei quesiti non ci sono obiezioni, di più sulla tempistica. Il senso di questa battaglia era e resta anche quello di unire la sinistra, non certo dividerla. Tanti compagni di altre forze politiche e movimenti fanno discussioni interessanti sul futuro della sinistra ma io credo che non si possa prescindere dal dato che i tentativi passati sono falliti perché non si può rimettere in rete quello che si muove a sinistra con processi di convergenza dall’alto, sul modello dell’Arcobaleno 2.0, con fusioni a freddo del ceto politico. Bisogna ripartire dal basso, accompagnando le spinte partecipative che nella società ci sono già, nelle battaglie contro il Jobs Act, per l’ambiente, la riforma della scuola etc. Anche solo raccogliendo le firme insieme si può scoprire che nonostante alcune differenze abbiamo una visione complessiva del Paese per promuovere un’alternativa di governo”.
Per saperne di più
– Il sito della campagna referendaria