Bruxelles – Si preannuncia di nuovo bufera sul tentativo della Commissione europea di mettere in piedi un sistema di quote per la redistribuzione dei migranti. Anche di fronte ad una crisi che si fa ogni giorno più pesante, nulla sembra essere cambiato. Di sicuro non per Repubblica Ceca, Ungheria, Polonia e Slovacchia, il cosiddetto gruppo di Visegrad i cui leader, riuniti oggi a Praga, inviano a Bruxelles un messaggio chiaro: “L’introduzione di un sistema obbligatorio e permanente di quote per misure di solidarietà sarebbe inaccettabile”. Necessario, sottolinea il gruppo dei quattro, “preservare la natura volontaria delle misure”, così che “ogni Stato membro possa costruire sulla propria esperienza, le migliori pratiche e le risorse disponibili”.
Insomma pur dicendosi “profondamente rattristati dalla perdita di migliaia di vite umane”, Polonia e compagni non sembrano intenzionati a muoversi di un millimetro. Almeno non nella direzione indicata dall’Ue, a cui chiedono di “evitare le accuse reciproche” e, invece, “focalizzarsi su un dialogo costruttivo che porti ad una efficace azione comune”. Per prima cosa, chiedono i leader del gruppo di Visegrad, “l’approccio dell’Ue non dovrebbe essere ridotto solo al Mediterraneo ma rispecchiare adeguatamente le rotte di immigrazione dei Balcani occidentali e dell’Est”. In questo senso serve anche “una distribuzione più bilanciata del supporto finanziario dell’Ue”.
Tutti gli Stati membri, lamenta poi il blocco dell’Est, dovrebbero rispettare gli obblighi legali, in particolare con una “pena e rigorosa applicazione del regolamento di Dublino e con un sistema funzionante di registrazioni”. In questo senso deve essere una “priorità massima” la messa in atto degli hotspot per registrare i migranti, non solo, come previsto dalla Commissione nei Paesi di frontiera, ma anche “fuori dall’Ue, lungo la rotta dei Balcani occidentali”.
Occorre anche un maggiore aiuto europeo per i Paesi che si trovano a proteggere i confini esterni dell’area Schengen. Orban e compagni propongono “operazioni comuni guidate da Frontex che “dovrebbero integrare le capacità nazionali nei Paesi più colpiti mentre nulla nel quadro della regolamentazione Ue stabilisce chiaramente una responsabilità di ogni Stato membro per la protezione dei confini esterni dell’Ue e dell’area Schengen”.
Grande attenzione anche all’azione esterna. I quattro propongono una “cooperazione intensificata” di Nazioni Unite, Unione africana e Lega Araba sulla gestione dell’immigrazione illegale e il coinvolgimento di Stati Uniti e Russia nel tentativo di risolvere le crisi in Libia, Siria e Medio Oriente. Sul lungo termine si suggerisce anche di incrementare l’assistenza allo sviluppo ai Paesi di origine e transito mentre vanno resi immediatamente operativi accordi di riammissione con Paesi chiave.
La buona direzione sulla “gestione delle radici profonde dei flussi migratori” era stata individuata, sostengono i Paesi dell’Est, nel corso del Consiglio europeo di giugno ma “i progressi sul campo non sono stati sufficienti”. Per questo ora i leader chiedono una “rapida messa in atto” di quelle misure e alla Commissione chiedono di presentare, in occasione dell’incontro straordinario dei ministri degli Interni e della Giustizia del 14 settembre, “misure valide per fare diminuire e eventualmente far cessare i fattori di attrazione”.