Bruxelles – Uno sforzo maggiore, molto maggiore, di quello proposto fino a questo momento dalla Commissione e soprattutto di quello che gli Stati membri si sono dimostrati disposti a fare. A giorni Jean-Claude Juncker illustrerà il nuovo piano dell’esecutivo comunitario sull’immigrazione e che ci sarà la richiesta di un cambio di passo sull’accoglienza da parte di tutti non è un segreto. Al centro della discussione torneranno le odiate “quote” per redistribuire i migranti dagli Stati Ue più colpiti agli altri. Pochi mesi fa era stato impossibile anche solo trovare un accordo sulla redistribuzione di 40 mila rifugiati da Italia e Grecia (si arrivò appena a 32 mila) ma Juncker pare intenzionato a tirare dritto e a mettere sul tavolo cifre molto più consistenti. Ufficialmente le svelerà lo stesso presidente della Commissione davanti all’Aula del Parlamento europeo nel corso del suo discorso sullo Stato dell’Unione il prossimo 9 settembre, ma la cifra che circola è di 120 mila rifugiati da redistribuire oltre i 40 mila su cui già si stava lavorando. “Occorre redistribuire almeno 100 mila migranti”, ha preso posizione oggi anche il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, ma la Commissione si è affrettata a sottolineare che le due istituzioni rimangono distinte e il diritto di iniziativa spetta all’esecutivo.
Quello che è certo è che questa volta, nel novero dei Paesi considerati “più colpiti” e che ci si propone di alleggerire attraverso la redistribuzione, entrerà, insieme ad Italia e Grecia anche l’Ungheria. Nelle ultime settimane il Paese è stato sottoposto ad una pressione senza precedenti di profughi in arrivo lungo la rotta dei Balcani occidentali e la Commissione ha già più volte ribadito che anche Budapest deve essere aiutata.
Resta il problema di convincere gli Stati reticenti e non sono pochi: Repubbliche baltiche, Polonia, Repubblica Ceca oltre alla stessa Ungheria. Per questo, secondo le indiscrezioni, la Commissione starebbe ragionando sulla possibilità di introdurre un sistema di opt-out per tutti gli Stati membri (non soltanto per Gran Bretagna, Irlanda e Danimarca che ne godono di diritto). E cioè: ogni Paese dovrà chiarire fin dall’inizio se intende o meno fare parte del meccanismo ma se deciderà di accettare poi dovrà accettare le quote come vincolanti. Per chi invece dovesse rifiutare potrebbero però essere prevista una compensazione economica, una sorta di meccanismo sanzionatorio.
Questo nel breve termine. Su tempi più lunghi, invece, si sarebbe finalmente decisi a rimettere mano a Dublino prevedendo un’eccezione strutturale al regolamento oggi in vigore, che scatterebbe automaticamente ogni volta che un Paese sia sottoposto ad un afflusso di migranti che è impossibile gestire autonomamente. In cambio si continuerà ad insistere sul binomio “responsabilità-solidarietà” e cioè: i migranti saranno redistribuiti a patto che i Paesi di frontiera si decidano a rendere funzionanti i cosiddetti “hotspot” e a registrare tutti i migranti in arrivo.
Altra misura di lungo periodo, già annunciata dalla Commissione, è la stesura comune a tutti i Paesi europei di una lista di “Paesi sicuri” i cui cittadini non hanno diritto di asilo in Europa. Ora su questo versante ogni Paese si muove a sé e un rifugiato accolto in un Paese potrebbe essere respinto negli altri. Di questo elenco, è già stato annunciato, faranno sicuramente parte i Paesi dei Balcani occidentali che hanno intrapreso o stanno per intraprendere un percorso di adesione all’Unione europea: nessun Paese che non sia considerato sicuro, è il ragionamento fatto da Bruxelles, potrebbe avere una prospettiva europea. Questo porterebbe già ad escludere una buona fetta di domande, ad esempio quelle provenienti dal Kosovo, numerosissime e sistematicamente respinte.