Bruxelles – Adesso è tutto un coro di richieste verso Bruxelles. Dai quattro angoli del continente, non c’è capitale che (nella narrativa proposta dagli Stati) non stia tirando per il bavero Juncker e compagni per convincerli che qualcosa sull’immigrazione va fatto e subito. Anche la riunione straordinaria dei ministri Ue convocata dalla Presidenza lussemburghese per discutere urgentemente della questione, viene fatta passare come una sveglia che gli Stati sono riusciti ad imporre per attivare una Commissione europea sonnacchiosa e inattiva. La realtà però è ben altra. È vero che le tragedie dell’immigrazione ci sono da anni e anni e che ogni giorno di attesa è un giorno di troppo, ma è vero anche che da quando al Berlaymont si sono insediati Juncker e la sua Commissione “politica”, il cambio di passo sull’immigrazione è stato decisissimo. O almeno lo sarebbe stato, se quegli stessi Stati membri che oggi chiedono a gran voce un intervento europeo, non avessero bloccato ogni slancio.
A Bruxelles cercano di ribadirlo un po’ tutti. Per ultimo ci ha provato il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk, incontrando oggi il primo ministro slovacco, Miro Cerar. “L’Unione europea non può e non deve essere biasimata per la crisi dell’immigrazione”, ha voluto sottolineare, facendo eco alle parole di pochi giorni fa del presidente della Commissione europea. “Alcuni ministri di Stati membri ci criticano per una nostra inattività. Ma sono critiche ingiustificate. La colpa va data agli Stati membri, non alla Commissione”, era stato più diretto, (come suo solito) Juncker. “Siamo sorpresi che alcune delle voci critiche dell’estate sembrano avere dimenticato quello che la Commissione ha proposto e lasciato sul tavolo molto prima dell’acutizzarsi della crisi che abbiamo visto in questi giorni”, calca la mano anche il portavoce dell’esecutivo Ue, Margaritis Schinas, parlando di proposte che qualcuno “ha scelto di non vedere”.
Ed è difficile non dargli ragione sentendo alcune delle prese di posizione di questi giorni e ricordando lo spettacolo francamente imbarazzante andato in scena quando la Commissione ha tentato di redistribuire appena 40mila migranti. L’Austria, ad esempio, che dopo la tragedia del tir chiede a gran voce l’introduzione di un meccanismo per “l’equa distribuzione dei migranti” tra gli Stati, era stata tra i più strenui oppositori di questa stessa idea, dichiarandosi all’epoca disposta a prendere zero migranti. Zero. E anche Parigi, che ora si fa promotore dell’agenda franco-tedesca che mette al centro della soluzione proprio un sistema di quote (seppure senza usare l’odiata parola), all’epoca aveva fatto penare non poco per accordare il suo appoggio ad una redistribuzione emergenziale. L’unico slancio di generosità arrivato da quasi tutti i Paesi era stata la disponibilità, dopo la terribile tragedia di aprile nel Canale di Sicilia in cui morirono circa 700 migranti, a mettere a disposizione di Frontex più mezzi. Peccato che il 14 agosto, parecchi mesi dopo, il commissario all’immigrazione, Dimitris Avramopoulos, sia stato costretto a richiedere: “Gli Stati membri offrano i mezzi a Frontex per l’operazione Poseidon (quella davanti alle coste greche), così come si sono impegnati a fare nel corso del vertice dei leader Ue”.
Insomma la maggior parte dei Paesi non sono decisamente nella posizione di fare sermoni a Bruxelles e molte di quelle misure che ora chiedono a gran voce sono già lì, nero su bianco, nell’agenda sull’immigrazione che la Commissione ha presentato a maggio. Se un rimprovero si può fare, alla squadra di Juncker, è forse quello di non avere tentato di imporre una tabella di marcia più serrata per implementarle. Sebbene Juncker avesse già proclamato fin dal suo discorso programmatico davanti al Parlamento europeo, ancora prima dell’elezione, che l’immigrazione sarebbe stata al centro della politica del nuovo esecutivo, il documento ha visto la luce solo a maggio, anticipato tra l’altro di alcune settimane rispetto alla prima data di presentazione prevista, sulla spinta della tragedia di aprile. Si è vista comunque un’altra volontà rispetto a quella del precedente esecutivo Barroso che, ben conscio della contrarietà degli Stati, non aveva nemmeno tentato di avanzare proposte per mettere ogni Paese davanti alla responsabilità di scegliere tra solidarietà ed egoismo. Oggi a parole tutti sembrano scegliere la solidarietà. Ma i fatti restano da vedere.