Una regola aurea del giornalismo ammonisce che le buone notizie non fanno notizia; le cattive, si”. La tragedia senza fine apparente in cui si consuma il destino della Siria ne è una conferma. Le cattive notizie si susseguono con cadenza tanto più inquietante vista la loro frequenza. Dalla prosecuzione del conflitto in se’, alle sofferenze della popolazione civile, all’esordio delle masse di rifugiati che premono alle frontiere di un’Europa sempre più sgomenta quando non atterrita; alle brutalità con cui il regime cerca di puntellare la propria vacillante sopravvivenza; regime superato però in efferatezza dai ribelli/rivali dell’auto proclamato Stato Islamico, come ci ha rammentato pochi giorni fa il barbaro assassinio del l’anziano custode dei tesori di Palmira.
Comprensibile che in un panorama così tetro, i rari e sovente effimeri spiragli di luce pàssino quasi inosservati.
È il caso dell’iniziativa intrapresa pochi giorni fa dall’inviato speciale per la Siria del Segretario Generale delle Nazioni Unite. A dire il vero, il suo piano d’azione non è stato ignorato del tutto. Il Consiglio di Sicurezza ne ha anzi salutato l’adozione con una dichiarazione congiunta che è il risultato di una ritrovata unità d’intenti della comunità internazionale che segue anni di divisioni e veti contrapposti. Un primo frutto dell’intesa con l’Iran dei Grandi del 5+1 (o 3+3) con un contributo non trascurabile della bistrattata UE, e il segnale che le contrapposizioni con la Russia, malgrado il perdurare delle tensioni dovute all’Ucraina, non impediscono un dialogo più fruttuoso in altri teatri.
Alcuni si sono spinti più in là, presentando l’iniziativa come un vero piano di pace. Ciò che probabilmente questo progetto non è: piuttosto la presa d’atto che i tempi per una soluzione politica, la sola in grado di mettere fine al conflitto in maniera sostenibile,non sono ancora maturi, e allora conviene concentrare gli sforzi nella ricerca di progressi limitati ma tangibili- solidarietà di fatto per riprendere il linguaggio caro a noi Europei- nei settori (dal l’assistenza umanitaria alla ricostruzione) in cui è possibile raggiungerli, così preparando un terreno fertile per intese di più largo respiro, se e quando ve ne saranno le condizioni.
Un approccio prudente, senza dubbio; ma realistico e, perché no, intelligente, che potrebbe recare qualche frutto nella misura in cui il conflitto siriano si avvicina al punto che gli esperti definiscono ‘mutually hurting stalemate ‘, uno stallo dalla prosecuzione del quale le parti ricavano più danni che benefici, per questo mostrandosi finalmente disposte alla ricerca di compromessi.
Nel caso della Siria, malgrado le tragedie ricorrenti (ed eccezion fatta per l’IS/Da’esh, probabilmente: non un’eccezione da poco, occorre ammetterlo) i segnali appaiono puntare in quella direzione. Il piano del l’inviato dell ‘ONU potrebbe darvi una spinta determinante. Il minimo che si possa fare è sostenere quest’iniziativa, senza illusioni ma con convinzione e determinazione, facendo il possibile perché abbia successo.
Non senza aver ricordato, però, che l’inviato speciale per la Siria del SG ONU risponde al nome di Staffan de Mistura, brillante e stimato diplomatico italo-svedese già inviato del governo italiano nella vicenda, anch’essa annosa e ancora lontana da una conclusione, dei maro’. Impossibile non pensare allora a quel che Oscar Wilde diceva dei secondi matrimoni: il trionfo della speranza sul l’esperienza.
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