di Wolfgang Münchau
Non molto tempo fa il dibattito sull’Europa era semplice. C’erano europeisti e antieuropeisti. Gli europeisti erano naturalmente anche a favore dell’euro mentre gli antieuropeisti erano contrari. Beppe Grillo e Marine Le Pen rientrano chiaramente in questo schema. La crisi dell’euro ha scombussolato questa divisione naturale. Ormai esiste infatti una posizione a sfavore dell’euro, rispettabile e fondata su principi politico-economici, i cui sostenitori non sono animati da risentimenti antieuropei.
L’argomentazione è rispettabile laddove sostiene che un euro che non funziona economicamente in fondo non funziona nemmeno politicamente e in ultima analisi nuoce all’integrazione europea. È quindi nell’interesse dell’Europa liberarsi di un euro disfunzionale. Tutti i precedenti governi italiani hanno trattato l’euro e soprattutto l’appartenenza dell’Italia all’Unione monetaria come un fatto sacrosanto. I governi di Silvio Berlusconi e Mario Monti hanno addirittura approvato il fiscal compact, che mirava a limitare al 60% del PIL l’indebitamento di ogni Stato membro. Chiunque avesse una certa dimestichezza con la materia sapeva che questo obiettivo – almeno per l’Italia – era irraggiungibile e il tentativo di perseguirlo avrebbe provocato un danno economico immenso. Eppure questo patto scellerato è stato siglato, nell’intento di scomparire dai radar dei mercati finanziari durante la crisi. Il conto arriverà presto. L’attuale governo italiano pianifica una riduzione delle tasse per i prossimi anni che, seppure giustificata sul piano economico, contravviene appunto il patto fiscale. La prossima crisi non si farà dunque attendere.
Questa strategia è condannata al fallimento. In Italia gli oppositori dell’euro attendono l’inevitabile sciagura. M5S e Lega Nord bocciano l’euro senza riserve e Berlusconi lo ha perlomeno messo in discussione. Alla luce degli sviluppi economici e politici, gli europeisti, in Italia come altrove, devono riconsiderare a fondo la strategia che tende a demonizzare il dibattito sull’euro. Finché resteranno legati ostinatamente all’euro e ai suoi meccanismi di regolamentazione, rischiano di uscire perdenti da quel dibattito.
Il meccanismo di regolamentazione dell’euro è fortemente improntato alla visione tedesca. La Germania negli anni novanta aveva ottenuto il varo del patto di stabilità e crescita e, sempre la Germania, ha preteso il fiscal compact. E oggi il ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble pretende un’unione politica sul modello tedesco: un’unione politica ordoliberale, vincolata a regole, la cui principale funzione consiste nel restringere il raggio d’azione degli Stati membri in tema di politica di bilancio, senza creare nuovi margini di manovra a livello del governo centrale. Si può anche affermare che in realtà l’obiettivo di questa iniziativa è restringere il raggio d’azione di Matteo Renzi e Pier Carlo Padoan in tema di politica di bilancio.
Questa volta l’Italia dovrebbe davvero dire no, anziché acconsentire per ragioni puramente tatticistiche, per poi nuovamente infrangere le ultime regole del gioco. Altrimenti l’Europa finirà in una spirale perversa in cui vengono emanate sempre nuove regole che vengono sempre infrante, distruggendo sempre più la fiducia, finché in qualche momento da qualche parte la corda si spezzerà.
Dal mio punto di vista, l’unica alternativa è che i sostenitori dell’euro in Italia e in Francia sviluppino una propria strategia coerente per un euro sostenibile sul piano politico ed economico. Questa tuttavia si può attuare solo se Italia e Francia fossero sostanzialmente disposte ad arrivare a una frattura con la Germania. Se si esclude questa ipotesi, la Germania riuscirà a tradurre in pratica la sua posizione ordoliberale, come è accaduto finora. Un euro tedesco a lungo andare funzionerà solo per una piccola schiera di paesi, la Germania e magari l’Olanda, la Finlandia, l’Austria e i piccoli Stati dell’Est e Nordest. Per l’Italia e la Francia un euro tedesco sarebbe la valuta sbagliata e finirebbe per creare un’inevitabile scissione nell’eurozona.
A me non interessa una coalizione antitedesca, anche se certamente è così che sarebbe interpretata la mia posizione. Un futuro stabile per l’euro è anche nell’interesse della Germania. Al momento tuttavia in Germania si è diffusa l’opinione che si possa realizzare un’unione politica secondo i principi tedeschi, perché gli altri Stati membri sono troppo deboli. Lo spettro di un’Europa tedesca si aggira di nuovo, a dispetto dell’auspicio di Thomas Mann di una Germania europea. Ritengo quindi opportuno che l’Italia e la Francia si oppongano a questa tendenza, ma per farlo occorre coraggio e la disponibilità a una rottura.
Altrimenti incombe una minaccia ancora peggiore: entro i prossimi dieci anni in Italia o in Francia i partiti anti-euro e antieuropeisti otterrebbero la maggioranza e la frattura dell’euro avverrebbe quindi unilateralmente per decreto. In quel momento anche l’Unione europea sarebbe fallita. Mettere in discussione l’euro con le sue attuali aberrazioni è quindi un atto fondamentalmente pro-Europa. Chi demonizza il dibattito nuoce all’Europa.
Pubblicato sul Corriere della Sera il 7 agosto 2015. Traduzione di Franca Elegante.