Bruxelles – La rivoluzione digitale non passa per i banchi di scuola. All’interno dell’Unione europea si assiste perciò a una netta separazione tra una società in costante aumento di tecnologia e un analfabetismo multimediale che rischia di penalizzare i lavoratori del prossimo futuro, e perciò “si rendeno necessarie trasformazioni pedagogiche profonde”. E’ quanto emerge da un’analisi del Parlamento europeo che, senza passare in rassegna i ventotto sistemi Paese, ravvisa tuttavia un deficit di investimento digitale nell’istruzione. L’era digitale – rileva l’analisi – ha segnato e sta segnando sempre più il mondo del lavoro. La tecnologia ha cambiato i nostri stili di vita, i nostri modelli lavorativi e di sviluppo. Sta anche trasformando il modo in cui i giovani e i minori hanno accesso alle informazioni, comunicano e apprendono. “Ciò nonostante tutta questa digitalizzazione non ha trasformato la maggior parte delle scuole né i processi di insegnamento e apprendimento in classe”.
Il problema? Il digitale va spiegato, e attualmente ancora ci si interroga sul come rendere edotti quanti siedono dietro un banco. Per giovani e giovanissimi è facile capire quali siano i benefici ludici della tecnologia, ma assai poco i vantaggi del lavoro e dello studio 2.0. I telefoni cellulari vengono utilizzati come fossero un gioco, e i mezzi di comunicazione (WhatsApp, Facebook) usati con troppa leggerezza. Se la rivoluzione digitale nell’istruzione passa per logistica, investimenti e politica, un’altra buona parte – quella in classe – passa attraverso la coscienza. “Gli studenti non si impegneranno in apprendimento on-line se non avranno chiari i benefici potenziali” di un simile studiare. Allo stesso modo “i dispositivi digitali saranno poco utilizzato se studenti e insegnanti non avranno nuove modalità di scolarizzazione”. In altre parole i sistemi informatici rischiano di restare fine a sé stessi, e dunque poco utili, “se le comunità e gli educatori non sono d’accordo sugli obiettivi finali della scuola”. Perciò la sfida del digitale consiste nell’essere convinti a puntare sull’innovazione dell’insegnamento. Qui si dovrebbe puntare soprattutto nella fase dell’adolescenza. I dati, sottolinea lo studio, evidenziano come un po’ in tutta Europa gli adolescenti abbiano poco impegno, poca concentrazione e non troppo interesse nell’attività scolastica. Ebbene, il loro impegno e la loro partecipazione “potrebbero essere migliorate utilizzando nuove forme di partecipazione socio-digitale anche nelle scuole”. E’ opinione diffusa che “pedagogie innovative possono rendere l’istruzione un’esperienza più coinvolgente”.
Ma il processo è tutt’altro che semplice. Intanto c’è un deficit nell’offerta dell’insegnamento. Dati alla mano, “sembra che educatori e ricercatori non abbiano affrontato abbastanza” il tema di come sviluppare pratiche di conoscenza che richiedono “usi pedagogici significativi” della tecnologia. Certo semplice non è. Per quanto si possa puntare su corsi multimediali i benefici dell’interazione in classe “sono difficili da riprodurre on-line”. Dall’altra parte, quindi, “occorre riflettere sul ruolo delle tecnologie a scuola”, visto che il digitale può essere “abusato o usato a scapito degli studenti”. Serve un corpo docente consapevole e responsabile, in grado di mettere gli studenti nella condizione di saper fare buon uso delle nuove conquiste tecnologiche. Per questo la ricerca futura “sarà importante” per determinare metodi produttivi e metodi controproducenti di utilizzare la tecnologia in classe, ma per tutto questo “sono necessarie valutazioni”. Il dibattito è aperto.