di J. W. Mason, professore di economia alla John Jay College (City University of New York) e fellow al Roosevelt Institute
L’accordo Grecia-UE è pessimo. Inutile girarci intorno: si tratta di una resa incondizionata. Tuttavia, credo che dovremmo resistere alla tentazione di criticare il governo di Syriza per quelli che possono sembrarci degli errori clamorosi. Non dovremmo sottostimare quanto sia difficile per un governo europeo, oggi, mettersi contro “l’Europa”. Per avere un’idea dei vincoli a cui era sottoposto il governo greco, consiglio questa intervista ad un anonimo consigliere di Syriza e questa intervista a Yanis Varoufakis. Da statunitense, non mi sento in grado di offrire un contributo al dibattito sulla strategia di Syriza. Ritengo che il nostro dovere sia quello di mostrarci solidali con la Grecia, senza fare le pulci alle scelte del governo. Quello che possiamo fare, però, è cercare di comprendere meglio la situazione, per meglio aiutare coloro che stanno cercando di cambiarla. Ecco dunque le mie 13 tesi sulla crisi greca e sulla crisi prossima ventura.
- L’euro è uno strumento nelle mani del capitale europeo per smantellare le conquiste della socialdemocrazia. Su Twitter, Marshall Steinbaum ha scritto: «Questo è il motivo per cui tutti [i politici] sono a favore dell’euro: perché gli permette di aggirare l’ostacolo delle elezioni». Penso che abbia ragione; ritengo che l’obbiettivo dell’attuale sistema sia quello di creare una serie di vincoli apparentemente oggettivi che permettano ai governi democraticamente eletti di prendere misure impopolari sostenendo che «non abbiamo scelta, sono i mercati che ce lo chiedono». Ho approfondito questa questione qui e qui.
- L’idea che l’euro abbia beneficiato i tedeschi è un mito. È paradossale che la Germania possieda sia la classe operaia più organizzata e la socialdemocrazia più avanzata d’Europa che l’élite più rigida e conservatrice del continente. Per un po’ è esistito un certo equilibrio tra queste due forze, ma nel corso dell’ultima generazione i lavoratori tedeschi hanno visto peggiorare le proprie condizioni materiali più di quelli di qualunque altro paese d’Europa. In un certo senso la divisione nord-sud in Europa non è così diversa dalla divisione razziale qui negli Stati Uniti, per cui forse vale anche lo stesso slogan: «Bianchi e neri, unitevi nella lotta!».
- L’euro non è un nuovo gold standard. O meglio, lo è e non lo è. Nonostante le aspirazioni dei suoi sostenitori e le paure dei suoi detrattori, l’euro non impone vincoli automatici alle scelte dei governi eletti. Da un punto di vista teorico, assomiglia molto alla proposta avanzata da Keynes a Bretton Woods. Il suo ruolo di cane da guardia del neoliberismo richiede l’intervento attivo delle autorità nazionali dei vari Stati membri.
- La Banca centrale europea è un organo politico. Sia che pensiate che la BCE abbia violato il principio dell’indipendenza della banca centrale, sia che pensiate che abbia semplicemente mostrato il suo vero volto, è ormai chiaro che la BCE non si limita ad adempiere le funzioni tecniche previste dal suo mandato ma interviene attivamente nel processo politico. Era già evidente da qualche anno che la protezione selettiva dai mercati finanziari offerta dalla BCE agli Stati era un modo per mettere pressione alle autorità elette. Oggi questo è diventato più evidente che mai.
- All’interno dell’Eurosistema, le banche centrali nazionali rimangono un terreno di conflitto. Prima della crisi, pochi erano a conoscenza del fatto che in Europa le banche centrali nazionali esistevano ancora. Oggi è chiaro che il controllo indiscusso esercitato dai creditori su questo terreno ha giocato un ruolo decisivo nell’esito della vicenda greca. La prossima volta che un governo eletto decide di sfidare le autorità dell’UE, la prima cosa che deve fare è ottenere il controllo – o perlomeno la cooperazione – della propria banca centrale.
- Il confine tra “dentro l’euro” e “fuori dall’euro” è più sbiadito di quello che si pensava. L’idea che “uscire dall’euro” rappresentasse un enorme, irreversibile salto nel buio è stata una delle armi principali nelle mani delle autorità europee. Ma non è così: basta guardare a paesi come Cipro, Andorra, il Montenegro o la Danimarca. L’euro è la sintesi di tutta una serie di legami diversi tra sistemi bancari, ed è perfettamente possibile mantenere alcuni di quei legami rinunciando ad altri.
- Ci saranno altre crisi in futuro. L’euro ha bisogno di crisi per andare avanti. Se l’obiettivo è quello di costringere i governi eletti a implementare politiche che non implementerebbero altrimenti, è importante che questi sappiano qual è il prezzo da pagare in caso di inosservanza delle regole. Ritengo che fosse questo l’obiettivo principale del braccio di ferro con la Grecia: fare del paese ellenico un esempio pour encourager les autres.
- Fare default non deve necessariamente avere conseguenze catastrofiche. Un’altra arma ideologica nelle mani dei creditori era l’idea che i mercati finanziari punirebbero automaticamente un paese che decida di fare default. Ma la storia dimostra che non è così. Ed è facile capire perché: un paese che si libera di una montagna di debito inservibile migliora il proprio rischio di credito, non lo peggiora. Il debito diventa un vincolo politico per i governi solo quando esistono degli agenti politici – o militari, in alcuni casi – che insistono affinché il debito sia rimborsato a tutti i costi.
- L’apparato statale difende gli interessi dello status quo. Questa è una delle sfide principali per qualunque sinistra di governo: comprendere che non basta farsi eleggere perché la burocrazia esegua i tuoi ordini. Non funziona così. La sinistra non può contare sulle attuali leve di potere o sulla legge.
- Per “denaro” si intendono i depositi bancari. Ho passato buona parte della mia vita intellettuale a discutere sulla natura del denaro. Ma se c’è una lezione che possiamo trarre dalla crisi greca è che non ha senso parlare di “uscita” dall’euro se prima non capiamo che per “denaro” intendiamo innanzitutto una rete di contratti mediati dalle banche, non una sorta di fluido omogeneo.
- I flussi commerciali non sono determinati dai prezzi relativi. Questo è un punto importante, perché molti commentatori, soprattutto negli Stati Uniti, sembrano convinti del fatto che un tasso di cambio flessibile permetterebbe alla Grecia di riequilibrare in modo indolore la propria bilancia dei pagamenti. L’evidenza storica dimostra invece che la libera fluttuazione dei tassi di cambio non elimina i problemi relativi alla bilancia dei pagamenti. Dal punto di vista teorico questo rappresenta un argomento a favore dell’euro, anche se non nella sua forma attuale.
- La libertà di movimento dei capitali non svolge nessuna funziona sociale. I trattati europei sanciscono la libertà di movimento delle persone, dei beni e dei capitali. Ma è stata proprio l’esplosione dei flussi di capitale transfrontalieri in seguito all’introduzione dell’euro a porre le basi dell’attuale crisi. Non puoi liberalizzare del tutto i movimenti di capitale ed aspettarti che i paesi siano in grado di tenere le loro bilance dei pagamenti in equilibrio. È una follia concedere ai detentori di grandi patrimoni la libertà di spostare i loro asset a piacimento e poi aspettarsi che i flussi commerciali si adeguino di conseguenza.
- Non è possibile separare l’economia reale da quella finanziaria. La “sostenibilità” del debito”, la “solvibilità” del sistema bancario – tutte queste questioni dipendono dai tassi di interesse e più in generale dalla disponibilità di liquidità. Non possiamo comprendere la crescita del debito greco, o la riduzione del debito di qualche altro paese dell’area euro, se non alla luce delle decisioni di finanziamento della BCE. La crisi finanziaria è la crisi; essa non riflette necessariamente qualche disordine “reale” sottostante.
Pubblicato sul blog dell’autore il 14 luglio 2015.