di Alessandro Cianci
«È incredibile come i pazienti sopravvivano nonostante il nostro intervento!». Nel leggere il report del Consiglio direttivo del Fondo monetario internazionale ci è tornato in mente l’auto-ironico commento di una nostra amica dottoressa, medico geriatra. Nel documento, che riporta la discussione annuale con i governi dell’area euro, il Fondo rileva una modesta ripresa dell’economia europea per il 2015 ed il 2016, nell’ordine, rispettivamente, dell’1,5 e dell’1,7%. La “ripresina” è dovuta, nelle parole del Fondo, alla crescita della domanda interna, aiutata dal basso prezzo del petrolio, nonché all’insieme delle politiche monetarie messe in atto dalla BCE di Mario Draghi ed alla conseguente debolezza dell’euro sui mercati valutari. Vale a dire è dovuta a fattori estranei alle cure prescritte dai governi europei.
Infatti – non sfugge al Fondo – resta cronica la debolezza della domanda interna. Inoltre, il peggioramento della situazione patrimoniale di banche ed imprese, assieme alla insufficiente crescita della produttività, continueranno a frenare occupazione ed investimenti. La crescita potenziale, stimata nel medio periodo all’1%, è in molti paesi ben al di sotto di quella necessaria a ridurre la disoccupazione entro livelli accettabili. In uno degli scenari ipotizzati si prevede addirittura il calo del 2% del PIL europeo entro il 2020. Quindi – conclude il Fondo – le prospettive di crescita sono scarse e, dato che lo spazio politico è limitato, l’area dell’euro resta vulnerabile a possibili shock negativi. Per intenderci, sembra chiaro che la pur modesta crescita economica è a rischio e, in ogni caso, sarà sospinta da fattori esterni non imputabili alle scelte di politica economica degli Stati dell’area euro. Anzi, paradossalmente, il paziente europeo sembra sopravvivere nonostante l’intervento dei governi europei!
Detto questo, ci si sarebbe aspettati una presa di posizione netta sulla necessità di consolidare ed aumentare la crescita della domanda interna mediante il superamento delle politiche di austerità. Il Consiglio direttivo, “braccio politico” del Fondo, sembra, al contrario, ignorare la diversa impostazione che da alcuni anni si è data il suo stesso centro ricerche all’indomani dell’arrivo dell’economista Olivier Blanchard, evitando di affrontare i temi politicamente più spinosi, quale la necessità di un cambio del paradigma economico. L’organo esecutivo accenna soltanto timidamente alla necessità di sfruttare lo spazio di flessibilità previsto nel patto di stabilità e crescita, invocando genericamente maggiori investimenti e riforme strutturali limitatamente ai paesi con i conti in ordine. L’esperienza ci dice che le riforme, tuttavia, sono sinonimo di riduzione del reddito di lavoratori e pensionati, cioè l’esatto contrario delle misure necessarie al rilancio della domanda interna, nonché in perfetta continuità con le politiche economiche finora adottate e che ci hanno condotto fin qui.
Non ci resta che sperare che la “ripresina” arrivi e che possa aver ragione quel medico così politicamente scorretto.