Roma – L’Italia è il paese che “ha registrato i risultati peggiori” sulla crescita del Pil procapite tra quelli che hanno adottato l’euro fin dall’inizio. E a certificarlo è la Banca centrale europea, con una analisi sul processo di convergenza, o meglio sulla mancata convergenza nell’area euro, inserita nel bollettino economico.
La Bce spiega che la “convergenza” qui esaminata è quella “reale”, in pratica c’è “quando il Pil pro capite delle economie a più basso reddito converge in maniera durevole verso quello dei paesi con redditi più alti”. Un processo che per risultare sostenibile implica un rafforzamento del potenziale di crescita di un paese assieme all’espansione della domanda, e che tende a aiutare la tenuta di una unione monetaria. L’istituzione rileva come nel periodo 1999-2014 e stata osservata una lieve convergenza reale fra i 28 paesi che ora formano l’Ue. Laddove “la convergenza reale fra le economie dopo l’introduzione della moneta unica è stata scarsa, nonostante le aspettative iniziali di un’accelerazione del processo catalizzata dall’euro”. E la Penisola spicca come maglia nera. “Tra i paesi ad alto reddito – prosegue la Bce – l’Italia ha registrato una crescita inferiore alla media dell’area dell’euro quasi per l’intero periodo generando un’aumentata divergenza”. Messo in altri termini, “l’Italia, inizialmente un paese a più alto reddito, ha registrato i risultati peggiori e questo suggerisce una divergenza sostanziale rispetto al gruppo con redditi elevati”.
La Bce puntualizza che non esiste una relazione chiara fra i livelli del Pil pro capite relativo nel 1999 e la loro crescita relativa fra il 1999 e il 2014. “Di fatto, se si considera il periodo nel suo insieme, esistono alcuni riscontri di una divergenza tra i paesi che hanno adottato per primi la moneta unica in quanto nell’arco di 15 anni diverse economie con redditi relativamente bassi hanno mantenuto (Spagna e Portogallo) o persino accresciuto (Grecia) il divario di reddito rispetto alla media”. Ma all’avvio dell’Unione monetaria “molti osservatori si aspettavano che la maggiore integrazione monetaria e finanziaria imprimesse un’accelerazione al processo di convergenza reale”. In linea di principio, gli afflussi di capitali privati nei paesi euro con redditi inferiori avrebbero dovuto favorire guadagni di produttività e aumenti sostenibili dei livelli di reddito nel lungo periodo. Invece “il finanziamento privato esterno ha cominciato a ridursi con lo scoppio della crisi finanziaria mondiale e ha continuato a diminuire sostanzialmente nel periodo successivo”, si legge.
Quanto alle cause di questo mancato allineamento, secondo la Bce è “l’effetto congiunto di tre fattori”. Primo, “le condizioni istituzionali in alcuni paesi non erano favorevoli all’innovazione e alla crescita sottostante della produttività”. In secondo luogo, “le rigidità strutturali e la scarsa concorrenza hanno contribuito a determinare distorsioni nell’allocazione del capitale e questo ha a sua volta impedito al potenziale di offerta dell’economia di allinearsi alla domanda”. Terzo, “il brusco calo dei tassi di interesse reali ha favorito una forte crescita del credito e ha fatto salire la domanda, dando origine ad aspettative erronee sui redditi futuri”.
Roberto Vozzi per Askanews