C’è un nuovo genere giornalistico, o per lo meno “social”, che sta spopolando su giornali, siti internet, televisioni: l’eurobufala. Quelle notizie che non sono state verificate, e che dunque notizie non sono, nelle quali si raccontano le cose più incredibili sull’Unione europea. Si va da quelle “buone”, come i 25mila euro che la Commissione europea sarebbe pronta a elargire a chi si sposa nel 2015, a quelle “cattive”, come la tassa che sarebbe stata introdotta sui condizionatori d’aria. Ce ne sono anche su materie più serie, come quella che girava un tre anni fa circa, all’esplosione della crisi greca, che voleva che il governo finlandese si fosse impuntato sulla necessità di obbligare Atene a vendere il Partenone per finanziare il suo debito. Più recente la storia delle vongole, che la Commissione europea non vuole siano pescate prima della maturità sessuale, che si traduce in una larghezza di almeno 2,5cm, senza considerare che: 1) in Italia questo divieto esiste dal 1968 (che non sia mai stato rispettato è un’altra questione) e 2) la Commissione stessa prevede deroghe, se particolari specie di vongole, come quelle dell’Adriatico, dovessero raggiungere la maturità a dimensioni minori. L’ultima, svelata proprio dal nostro giornale, è quella di una studentessa di Napoli che, con una semplice mail (il cui oggetto, tra l’altro, era giuridicamente sbagliato) avrebbe costretto una fino ad allora ignara Commissione europea ad aprire una procedura di infrazione contro il governo tedesco di Angela Merkel, per una illegittima imposizione ai non tedeschi sui pedaggi autostradali.
Che si possa alle volte travisare un fatto, che ci possa essere confusione, è nelle cose. Andrebbe evitato, ci sono i mezzi per evitarlo, ma il “mondo social” non è fatto di professionisti dell’informazione, bensì di persone, di norma in buona fede ma non sempre, che si appassionano a una questione e, spesso leggendo solo un titolo, un commento, una suggestione di qualunque tipo, scatenano meccanismi di disinformazione che è poi difficile raddrizzare. Come succede in Gran Bretagna, dove ancora tante persone sono convinte di sostenere con le loro tasse l’economia di Paesi come l’Italia, alla quale invece, ovviamente, non hanno mai versato un penny.
Più grave è che queste eurobufale le si trovino sulla stampa, scritte da professionisti dell’informazione. Che i politici usino la realtà a loro piacere non è corretto, anzi è sleale, ma ci sta, seguono un progetto “più grande”, e allora l’approssimazione sul dettaglio può essere utile ai loro scopi. Noi giornalisti dobbiamo invece informare con la massima precisione umanamente possibile, dunque faticando, cercando le fonti dirette, incrociandole, facendoci domande e cercando le risposte. Il dibattito sul perché l’informazione sull’Unione europea è così marginale sulla stampa, dedicato a pochi appassionati, di norma anche altamente qualificati sul tema, non è aiutato da questo genere di pubblicazioni. Questo atteggiamento svilisce un tema che invece entra nella vita dei cittadini molto più, direi, di quello pur importantissimo della giunta del Comune di Roma. Il livello di approfondimento sulle vicende di Ignazio Marino sindaco è altissimo, si sa tutto di lui, dei suoi assessori, dei sacchetti non raccolti dalla Nettezza Urbana, sul fallimento tecnico dell’Atac (la società dei trasporti pubblici della Capitale). Cose molto importanti, non c’è dubbio. Ma non so quanto lo siano per i cittadini di Vicenza, di Busto Arsizio, di Barcellona Pozzo di Gotto o di Chieti. Tutti questi, ed anche i milioni di romani, invece ogni mattina si alzano e hanno a che fare con l’Unione europea, ma non lo sanno. Non sanno che le lenzuola tra le quali dormono sono fabbricate, o importate, secondo norme europee, che la stessa cosa riguarda le loro pantofole o la qualità dell’acqua con la quale si lavano i denti. L’automobile che usano è costruita secondo precise norme di sicurezza e di protezione ambientale (sempre in aumento) stabilite a Bruxelles, che i sistemi, soprattutto on line, con i quali si organizzano le vacanze funzionano secondo canoni stabiliti dall’Unione, che il numero unico di emergenza da chiamare in tutta Europa (il 112) è stato stabilito a Bruxelles. E poi, ovviamente, ci sono i contributi per l’agricoltura e dunque il cibo di cui ci nutriamo, c’è la protezione dei cibi Doc o Dop, ci sono gli aiuti alla Grecia perché non fallisca trascinando con se chissà cosa, ci sono la spinta, l’obbligo, alla riforma delle pensioni o del sistema della Giustizia civile.
C’è tanto da raccontare, spiegando che “Bruxelles” non è un’entità astratta o estranea ai governi, ma è fatta proprio dai governi nazionali, che hanno un loro rappresentante nella Commissione, che formano il Consiglio europeo. E ci sono i deputati europei, parte fondamentale del meccanismo con cui funziona l’Unione, che svolgono un ruolo originale e decisivo, assolutamente non riconosciuto in Italia. Non è un eccesso dire che uno qualunque dei 73 deputati europei italiani ha, sulla legislazione in vigore in Italia, un peso spesso notevolmente maggiore rispetto a uno dei 945 parlamentari eletti in Patria.
Dobbiamo, ma non solo noi italiani, capire bene noi per primi questo per poi informare correttamente i nostri lettori, per dare all’informazione europea lo spazio e la profondità che merita. Per non prendere in giro i cittadini, e per valorizzare il nostro lavoro.