E’ passato qualche giorno da quel 13 luglio nel quale, all’alba, si firmarono i patti per iniziare il terzo salvataggio della Grecia. Qualcosa è successo da allora a oggi e si può provare a capire se ci sono o no vincitori e vinti al termine del negoziato. Alexis Tsipras non ha perso, anzi, probabilmente è riuscito a realizzare un capolavoro politico in un contesto dove tutto sembrava crollargli addosso. La parola chiave è “debito”, e tra breve ne parleremo. Non l’ha fatto da solo, senza il presidente francese François Hollande, Matteo Renzi, come il premier greco stesso ha affermato, aggiungendo anche il presidente cipriota Nicos Anastasiades (proprio a Cipro Tsipras fece il suo primo viaggio all’estero) al suo fianco, la sua missione sarebbe fallita. Si racconta che proprio il 13 mattina, alle 7, i negoziati fossero giunti a un punto morto, in particolare sulla questione del fondo per le privatizzazioni. L’intesa non c’era a il presidente del consiglio europeo Donald Tusk ha raccontato che era lì lì per chiudere e dunque sentenziare l’uscita della Grecia dall’euro quando Hollande si è impuntato, dicendo “no, io non mi alzo se non c’è un accordo, dobbiamo trovarlo”, al suo fianco si misero Renzi e Anastasiades, solo loro, e si continuò a trattare fino al raggiungimento di un’intesa.
E l’intesa è buona per Atene. E’ vero che la questione del fondo per le privatizzazioni ha due facce: la prima è quella che appare chiara, avrà la sua base in Grecia e non in Lussemburgo come sembrava volessero i creditori, ed è vero pure che sta scritto che un quarto di quei fondi (circa 12,5 miliardi) resteranno nell’Ellade per rilanciare la crescita. Però è anche vero che 50 miliardi da privatizzare in Grecia non ci sono, e che, leggendo bene l’accordo, è scritto che non “la metà” andrà a risarcire le banche, ma “la prima metà”, cioè i primi soldi che arrivano andranno via subito, ed è praticamente impossibile che ne arrivino altri o anche che si arrivi a 50 miliardi, se è vero il calcolo della Commissione europea che nel Paese si può difficilmente arrivare a trovare beni da privatizzare per 15 miliardi. Ma proprio la Commissione europea, che è stata di fatto tenuta ai margini di tutto il negoziato, ha qui dato un magistrale colpo di coda, che per Tsipras non poteva essere una sorpresa: ecco arrivare 35 miliardi per sostenere la crescita con programmi che, in molti casi, possono arrivare ad una partecipazione comunitaria del 100 per cento. Dunque soldi veri, e anche tanti, che ben compensano i 12,5 miliardi del fondo di solidarietà destinati alla crescita che invece non esistono.
E’ vero che la “Troika”, di fatto ritorna ad Atene, è scritto nell’accordo. Ma è davvero diverso essere controllati da Bruxelles o in casa? Sì, politicamente la differenza è evidente, ma dipende anche dal tipo di rapporto che si stabilisce e dall’approccio che i creditori avranno. Dopo i tanti errori commessi non potrà certo essere aggressivo come nei primi anni.
Le riforme “imposte”. In gran parte i temi sui quali i creditori chiedono al governo di Atene di intervenire sono temi sui quali la Grecia stessa ha riconosciuto la necessità di un intervento. Tsipras non è solo un capo partito, è anche, e soprattutto come ha dimostrato, il primo ministro della Grecia, è l’uomo che porta la responsabilità non tanto e non solo del negoziato con i creditori, ma della rinascita del suo Paese. Deve confrontarsi con la realtà che ha davanti e certamente essere “costretto” a fare delle riforme difficili gli offre anche una copertura politica per scelte che sarebbero state troppo difficili per qualsiasi premier. E’ vero, deve intervenire sulle pensioni minime, ma lo scadenzamento dei tempi dovrebbe far sì che contemporaneamente a questo taglio entri in vigore il salario minimo, che riporterà le pensioni a un livello accettabile. L’Iva “sul turismo” aumenterà un po’ i prezzi, ma quanti italiani (ad esempio) non andranno più al ristorante perché dovranno pagare due o tre, o cinque euro in più per un pasto? Potrebbe essere una misura recessiva, ma probabilmente non lo sarà: se non si va a pescare lì dove un po’ di soldi arrivano dove li possono trovare?
Il referendum è stato la bestia nera dell’Europa, soprattutto dei tedeschi, che ancora lo rinfacciano ad Atene. Ricostruzioni a parte sul momento nel quale Tsipras lo ha indetto, a cosa è servito? Forse a molto. Almeno su due fronti: su quello interno il premier si è fatto dare un grande mandato, che lo ha rafforzato andando ben oltre i numeri della sola Syriza, su un messaggio che era quello di non accettare soprusi e, soprattutto, non uscire dall’euro. Secondo un sondaggio diffuso proprio oggi, se si tornasse ora alle urne Syriza prenderebbe il 42 per cento dei voti, il che gli permetterebbe di avere la maggioranza assoluta in Parlamento. All’esterno il premier ha dimostrato che non è possibile umiliare la Grecia oltre, che se si fosse fatto saltare il suo governo non ne sarebbe arrivato uno più “malleabile” per i creditori. Insomma, ne è uscito come l’uomo con il quale parlare, come l’unico punto di riferimento possibile in Grecia, ed infatti i negoziati sono ripartiti immediatamente, nonostante gli strali lanciati in particolare dal Partito popolare europeo.
La vittoria vera di Tsipras è stata però quella sul debito. Lo ha detto da sempre, dalla campagna elettorale in poi, che il nodo della Grecia era un debito insostenibile. Quello era il suo obiettivo vero, il giro di boa che può permettere alla Grecia di vedere la luce in fondo al tunnel, perché se hai sempre un fardello impossibile da portare anche se ti dai le migliori gambe del mondo non potrai andare da nessuna parte. La svolta è arrivata proprio tra il 12 e il 13 luglio, mentre un Wolfgang Schauble accecato dalla rabbia e probabilmente oramai in competizione, da destra, contro la cancelliera Angela Merkel, tentava di imporre l’opposto, l’uscita della Grecia dall’euro. Non aveva capito quello che stava succedendo il ministro delle Finanze e non è stato capace di mettersi alla guida del movimento. Oppure sì, lo aveva capito ed ha deciso di giocare fino in fondo la sua partita contro Merkel. Ma ha perso alla fine. Il paragrafo con l’ipotesi di uscita della Grecia è stata una delle prime cose cancellate dai capi di Stato e di governo dell’Ue. Mentre invece è entrata la frasetta sul debito, che, lo scrivemmo subito, era già un’apertura: non si può toccare i debito nominale. Il che voleva dire, lo si è dimostrato poi, che si poteva fare il resto, cioè alleggerirlo ad esempio riscadenzando i pagamenti o alleggerendo gli interessi. Pochi giorni dopo arrivano i tecnici del Fondo monetario internazionale a dire quello che tutti sapevano già, che il debito greco è insostenibile, è impossibile da ripagare. Improvvisamente l’Fmi diventa un alleato, almeno su questo, riconoscendo errori del passato, come spesso gli capita. Poi è arrivato il presidente della Bce Mario Draghi, e poi la capa dell’Fmi, Christine Lagarde, che addirittura ha detto che senza ristrutturazione il Fondo non parteciperà al programma. Non ha dovuto insistere Tsipras, però lo disse subito, già il 13 di aver ottenuto questo risultato, e in pochi gli diedero retta.
Ora si dovrà ancora negoziare per settimane sul programma, poi, forse dopo l’estate, sul debito, saranno settimane molto difficili. Ma Tsipras intanto si è liberato degli estremisti nella maggioranza e nell’esecutivo, ha allargato la maggioranza su questa partita, probabilmente ha stretto patti con gli Stati Uniti, e non sarebbe una sorpresa vedere arrivare aiuti o investimenti a stelle e strisce, ha un buon rapporto con Mosca e con Pechino, appare saldo al governo, dove per ora tutti vogliono che resti. Difficile dire che abbia perso o che sia stato umiliato. E’ stato un accordo duro su una situazione del Paese drammatica, ma questa volta si vede la luce, anche per i greci.