Roma – ”Fra cinque anni avremo un’alleanza di paesi ‘free traders’ che varrà più della metà del Pil mondiale e contribuirà ad avere una globalizzazione più equilibrata e più regolata”. La previsione è di Carlo Calenda, viceministro per lo sviluppo economico, secondo il quale “il paragone tra il Ttip e la Nato ha senso: è un contributo alla stabilità”. L’esponente dell’esecutivo, parlando a un convegno che si tenuto ieri a Roma, si è detto convinto che il trattato sul commercio e gli investimenti tra Europa e Stati uniti sia un passaggio fondamentale, servirà a creare un’area di libero scambio con “il compito di attrarre nuovi paesi emergenti, far aprire le economie dei Brics ma soprattutto dettare i nuovi standard dell’economia globale”.
Per il governo, anche il ministro degli esteri Paolo Gentiloni ha confermato “il massimo impegno” dell’Italia per un accordo sul Ttip. Intesa che va sostenuta “per il bene della nostra economia”, ha sostenuto il capo della Farnesina, aggiungendo che “il rilancio dell’Unione europea nelle relazioni economiche e commerciali con il resto del mondo è fondamentale, perché la velocità di crociera della nostra crescita non è all’altezza per affrontare le sfide che ci circondano”.
Se il governo ha confermato un ’endorsement’ quasi incondizionato al Ttip, le organizzazioni che si oppongono al trattato hanno avuto modo di esprimere il loro dissenso in Senato, dove Monica Di Sisto, portavoce della campagna Stop-Ttip Italia, è stata ascoltata in audizione davanti alle commissioni Agricoltura e Politiche Ue. Di Sisto ha criticato duramente l’accordo, del quale fatica a convincersi che abbia una natura prettamente commerciale, dal momento che “l’80% dei benefici del Ttip arriverebbe da misure non tariffarie – sostiene – che riguardano l’etichettatura, i controlli di qualità e sanitari, gli standard di produzione, di sicurezza ambientali, alimentari e di sicurezza sul lavoro”.
Secondo l’attivista, tutto questo provocherà un effetto negativo. Si tratterà solo di decidere se subirlo sul piano economico, con aziende costrette a chiudere perché non in grado sostenere la concorrenza di prodotti statunitensi meno cari, “visto che non dovranno più passare tutti quei controlli”. Oppure “cominceremo a semplificare le nostre normative”, ritiene Di Sisto, accettando di seguire i concorrenti nell’abbassamento degli standard di sicurezza e tutela. In definitiva, la portavoce di Stop-Ttip Italia è convinta non si possa fare “una operazione di maquillage” sul Trattato. “O si cambia nella sua filosofia o lo si ferma”, è la sua conclusione.