Bruxelles – La Commissione europea ha varato ieri una proposta di direttiva che mira a riformare e migliorare il sistema Ets (“Emission Trade System”, la borsa dei permessi di emissione di CO2), in modo da adattarlo al nuovo obiettivo che l’Ue si è data conseguire una riduzione totale delle emissioni climalteranti del 40% nel 2030 (corrispondente a una riduzione del 43% per i settori coperti dall’Ets), rispetto al livello del 2005. La proposta è tempestiva, in vista dei negoziati del vertice Onu sul clima che si svolgeranno in dicembre a Parigi, ma secondo le associazioni ambientaliste non è abbastanza ambiziosa.
Tra gli elementi innovativi della riforma del sistema, i più importanti sono l’accelerazione del ritmo di diminuzione del tetto complessivo di emissioni nell’Ue, che sarà del 2,2, ogni anno a partire dal 2021 (mentre oggi, per il periodo 2013-2020, il ritmo di riduzione annuale è dell’1,74%), e la creazione di un Fondo per l’Innovazione (per tutti gli Stati membri) e di un Fondo per la Modernizzazione (per 10 paesi dell’Est a basso reddito), che saranno entrambi finanziati con una parte dei proventi della vendita dei permessi d’emissione (quote per 450 milioni di tonnellate di CO2 per il primo e per 310 milioni per il secondo).
La proposta conferma invece la percentuale di emissioni che saranno assegnate all’asta (il 57% del totale emesso dai settori coperti dall’Ets), e quella (43%) che continuerà a essere assegnata gratuitamente. Le quote gratuite saranno date soprattutto ai 50 settori industriali considerati più esposti al “carbon leakage”, ovvero il rischio di delocalizzazione delle industrie dell’Ue in paesi terzi che non applicano le stesse, rigorose norme sulle emissioni. Alcuni di questi settori (in particolare, molto probabilmente, cemento e acciao) avranno esenzioni del 100%; altri, relativamente meno esposti alla concorrenza internazionale dovranno comunque acquistare il 70% delle quote all’asta (esenzioni del 30%). La lista dei settori esposti sarà stilata nel 2019 sulla base dei dati 2013-2017, tenendo conto due fattori, intensità energetica e “trade intensity”, ovvero l’esposizione alla concorrenza extracomunitaria.
Il nuovo Fondo per l’innovazione (che si basa sul successo di un programma già esistente, Ner300, finanziato con i proventi della vendita di 300 milioni di quote nel periodo 2013-2020) sosterrà investimenti pionieristici in energie rinnovabili, cattura e stoccaggio del carbonio (Ccs) e innovazione a bassa emissione di carbonio nei settori a elevata intensità energetica.
Il Fondo per la modernizzazione mira ad aiutare gli Stati membri più poveri a soddisfare il fabbisogno di investimenti in materia di efficienza energetica e di modernizzazione dei sistemi
energetici in 10 Stati membri aventi un Pil pro capite inferiore al 60% della media Ue: dell’UE (nel 2013). I paesi ammessi a fruirne sono: Bulgaria, Croazia, Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Repubblica ceca, Romania, Slovacchia e Ungheria.
Alle modifiche proposte oggi si aggiungerà una importante innovazione, la “Riserva stabilizzatrice del mercato” (Msr), che è già stata approvata con un recente accordo fra le istituzioni Ue. Per sostenere e stabilizzare il prezzo di mercato delle quote di emissione, si prevede che nel 2020 siano trasferite alla Riserva quote non assegnate nel 2013-2020 per 550-700 milioni di tonnellate di CO2, con una base iniziale di 400 milioni di tonnellate a partire dal gennaio 2019, quando l’Msr diventerà operativo. In più, la Commissione propone ora di destinare, a partire dal 2020, 250 milioni di queste quote accantonate nell’Msr alla costituzione di una riserva per impianti nuovi e in espansione.
Le critiche degli ambientalisti riguardano il fatto che le proposte della Commissione, secondo loro poco ambiziose, non correggeranno i gravi malfunzionamenti del sistema Ets, dovuto innanzitutto all’eccessivo numero di quote di emissione sul mercato. La Commissione, affermano ad esempio “Climate Action Network” e il Wwf, avrebbe dovuto tagliare ancora di più il numero di quote sul mercato e ridurre o eliminare del tutto le quote assegnate gratuitamente.
L’eccesso di offerta ha fatto sì che il prezzo delle quote sia precipitato, raggiungendo negli anni scorsi il record di 3 euro a tonnellata, e stabilizzandosi poi attorno agli attuali 7 euro. Le simulazioni della stessa Commissione avevano previsto invece che arrivasse a 30 euro. Con prezzi così bassi, si perde l’effetto dissuasivo che il sistema delle quote di emissione doveva avere soprattutto nei confronti del carbone, la fonte energetica di gran lunga più inquinante e climalterante, che continua a costare molto meno di altre fonti più pulite, anche dopo il pagamento dei permessi di emissione.
Un’altra critica degli ambientalisti riguarda la generosità del sistema, considerata eccessiva e immotivata, nei riguardi delle industrie sottoposte al “carbon leakage”, nonostante studi della stessa Commissione abbiano dimostrato il carattere irrisorio del fenomeno.