Proviamo a spararla grossa, molto grossa. L’accordo greco, tutto ancora da verificare nei prossimi mesi, potrebbe costituire una delle più forti accelerazioni verso l’integrazione europea dai tempi dei trattati fondatori degli anni 50. Bum! A caldo i commenti sui principali giornali italiani e internazionali sono stati abbastanza convergenti: con l’ultimo accordo i greci non sono più padroni in casa loro, la sovranità nazionale è stata di fatto espropriata e trasferita altrove. Dove non è chiarissimo: Bruxelles? Francoforte? O in un posto che ancora non esiste sulle carte geografiche ma è una sede effettiva di potere politico e di conseguenza economico? A differenza di quanto accaduto con i trattati di Maastricht del 1992, questa volta la cessione di sovranità non è esplicitata e, almeno apparentemente, non riguarda tutti allo stesso modo. I “leader” (le virgolette sono obbligatorie) sono stati attenti a venderlo come un compromesso contingente. Per la Merkel da accettare perché i vantaggi superavano gli svantaggi. Per Juncker un “tipico” accordo europeo, dove nessuno ha perso la faccia e nessuno è stato umiliato. Per Hollande non è stata un’elemosina alla Grecia, piuttosto solidarietà. Sembra quasi che la prima avesse in mente soprattutto l’affare fatto comprando 10 salsicciotti affumicati al prezzo di 8. Il secondo forse pensava al delicato e complesso equilibrio tra Vermouth e Gin nel Martini Cocktail. E il terzo magari era semplicemente grato per averla ricevuta lui l’elemosina di un posto da comprimario al fianco della Cancelliera in cerca di puntelli con cui contenere il suo ministro delle Finanze. Se qualcuno dei tre ha avuto seppure un lontanissimo sentore di essere stato protagonista di una svolta storica, è riuscito a nasconderlo benissimo.
Ma forse, del tutto inconsapevoli, i tre leader di più basso profilo che l’Europa abbia mai avuto dalla fine della seconda Guerra Mondiale, sono stati invece testimoni e autori involontari proprio di una grande svolta. Da sempre il problema dell’unificazione europea sono gli stati nazionali, soprattutto quelli più grandi, che non ne vogliono sapere di cedere un briciolo di sovranità alle istituzioni comunitarie. Soprattutto se si tratta di quattrini, vale a dire il potere di incassare le tasse e di contrarre debito. Ma questa volta la sovranità è stata ceduta. O meglio, c’è un accordo tutto ancora da approvare e soprattutto da attuare che lo prevede in modo molto dettagliato. Riguarda la piccola e indisciplinata Grecia. Ma è un precedente che vale per tutti. E che in futuro potrà essere a ragione invocato da tutti. Non necessariamente nei confronti di chi non riesce a onorare i debiti contratti con gli altri partner e le istituzioni europee. Ma magari anche nei confronti di chi non riesce, o non vuole, onorare i patti sottoscritti per la crescita economica. Oppure nei confronti di chi non riesce o non vuole onorare le regole di non protezionismo, ad esempio in campo bancario e finanziario. I greci, deboli e un po’ imbroglioni, hanno saputo comunque raccogliere diverse simpatie, anche se hanno esagerato con il gioco delle tre carte e alla fine pochi hanno avuto da ridire sul fatto che venissero rimessi in riga. Ma quante simpatie potrà riuscire a raccogliere chi è molto più grosso, forte e anche un po’ spocchioso, nel momento in cui dovesse essere messo in futuro con le spalle al muro e costretto a cedere la sua, di sovranità, in nome del bene comune? Potrà appellarsi alla solidarietà dei partner? O magari chiedere l’elemosina di un po’ di comprensione?
Certo, la cessione di sovranità è avvenuta in modo del tutto irrituale. Non a seguito di un processo politico guidato, con l’obiettivo di far fare all’integrazione un balzo in avanti. E’ avvenuta in qualche modo per caso, per una circostanza della storia. Magari è stato lo Spirito del Mondo, inventato da un grande filosofo manco a dirlo tedesco, ad usare un po’ di “astuzia della ragione” per far diventare dei leader macchiettistici i protagonisti inconsapevoli del suo disegno. Se le cose dovessero stare davvero così, c’è però un problema. Già alla fine degli anni 80 del secolo scorso Guido Carli avvertiva che l’edificio dell’unione monetaria di cui allora si stavano posando i primi mattoni era un progetto viziato all’origine da un “deficit di democrazia”. La cessione progressiva di sovranità monetaria, secondo Carli, non poteva avvenire senza una serie di passaggi attraverso i quali i popoli europei potessero esprimere almeno la propria approvazione. Un quarto di secolo dopo nessun passaggio di questo tipo c’è stato, e quel deficit, esattamente come quelli che accumulano ogni anno i bilanci degli stati, è diventato un enorme debito, un debito di democrazia. Che prima o poi andrà colmato. A questo punto meglio prima che poi. Forse la storia ha trovato il trucco per mettere di fronte gli stati europei di fronte al fatto compiuto della cessione di sovranità. Ma la storia non si può fare solo con i trucchi o con gli accidenti. Serve una presa d’atto consapevole, come ad esempio una costituzione (non un altro trattato come quello di Lisbona), prima votata dai popoli europei e poi realizzata concretamente in uno stato federale. La cessione di sovranità ormai in Europa è un fatto, che piaccia o no. Tornare indietro sembra molto più pericoloso che andare avanti.