Molto è stato detto e scritto della crisi greca e del modo in cui è stata affrontata dall’Unione Europea, che anziché risolverla ha continuato ad accentuarne la gravità. Avrebbe poco senso e probabilmente ancor meno utilità contribuire al dibattito da queste colonne. E tuttavia può essere di qualche interesse notare una volta di più la relazione tra la gestione di questa crisi (tutt’altro che ottimale, a detta degli stessi protagonisti – forse l’unica valutazione su cui si trovino unanimemente d’accordo) e la circostanza che i protagonisti stessi siano uomini e donne di economia e finanza.
Si è avuta nella circostanza una dimostrazione plastica, di cui forse non si avvertiva la necessità (di sicuro non l’avvertiva la sfortunata popolazione greca), di quanto sia vera la definizione dell’economia quale ‘scienza triste ‘. Ovvero, per parafrasare per l’ennesima volta la saggezza del Presidente francese Clemenceau – ‘la guerra è una cosa troppo seria per lasciarla ai generali ‘-, si potrebbe e forse si dovrebbe affermare che l’unità europea è un obiettivo troppo prezioso per affidarlo alle cure puntigliose dei ragionieri dei Ministeri delle Finanze o della Commissione.
Dare uno sbocco positivo a negoziati tecnici delicati e complessi, del resto, è possibile. Per averne un’idea, basta guardare in direzione di Vienna, all’accordo appena raggiunto sulla questione nucleare iraniana. Un accordo che ha fatto riscoprire a sua volta l’utilità di una professione , quella diplomatica, spesso considerata un orpello meramente decorativo se non del tutto inutile e che invece resta strumento indispensabile per parlare con gli altri – a patto, s’intende, che con gli altri si voglia parlare e non impartire lezioni o ultimatum; indispensabile a capire le differenze in modo da superarle, o quanto meno conciliarle.
Per carità: l’intesa con l’Iran è nella migliore delle ipotesi un successo di tappa, non certo un verdetto definitivo. Molte cose possono andare storte, e il diavolo si annida come sempre nei dettagli, anche della diversa Interpretazione che ciascuna delle parti darà al testo di accordi fatalmente segnati da ambiguità e ambivalenze, oltre che nei numerosi passaggi di verifiche, attuazioni ed eventuali inadempienze.
Allo stesso modo, l’epilogo della complicata e per molti versi tragica vicenda greca resta da scrivere; ed è ancora possibile (ma è lecito dubitarne) che l’Eurogruppo individui finalmente una formula che coniughi il doveroso rispetto delle regole e dei bilanci con le legittime aspettative dei greci ad un avvenire meno penitenziale.
Nel frattempo, però, non sarebbe male che chi aveva festeggiato qualche anno fa l’esclusione dai Consigli Europei dei Ministri degli Esteri (che, si ricorderà, prima del Trattato di Lisbona ne facevano parte di diritto), rallegrandosi del fatto che i Ministri delle Finanze ne avevano di fatto preso il posto- ‘gli affari europei sono affari interni!’ si diceva- riflettesse sulle conseguenze di quella decisione. E, se possibile, si ricredesse: in fondo, come ci ha insegnato un progenitore di Tsipras e Varoufakis, sapere di non sapere è una delle più alte manifestazioni di sapienza
PS: chi scrive lo fa da una prospettiva di parte, è abbastanza evidente. Ogni tanto bisogna pur portare l’acqua al proprio mulino…