Bruxelles – Le lobby farmaceutiche e finanziarie hanno più che raddoppiato i loro sforzi per supportare la firma del Ttip, il partenariato commerciale fra Stati Uniti e Unione europea. È quanto emerge da una complessa e documentata ricerca portata avanti dalle ong Corporate Europe Observatory e SumOfUs, che vuole far luce sulle pressioni esercitate dai gruppi d’interesse durante i negoziati per la firma del trattato transatlantico. Secondo i ricercatori, negli ultimi due anni il settore farmaceutico ha aumentato di quasi sette volte i propri sforzi rispetto al periodo fra gennaio 2012 e marzo 2013, tanto è vero che gli incontri fra i suoi rappresentanti e le istituzioni europee tra aprile 2013 e febbraio 2014 hanno costituito il 16,5% delle riunioni totali fra l’Ue e le lobby, mentre due anni prima rappresentavano solo il 2,4%. Discorso simile anche per l’industria finanziaria, che è passata dal 5,1% al 10,8% degli incontri totali, mentre il settore dell’ingegneria e dei macchinari è salito dal 3% al 9,5%.
Nonostante questo evidente aumento degli sforzi da parte del settore farmaceutico e finanziario, la parte del leone la fanno ancora i lobbisti dell’agribusiness. La tutela delle denominazioni di origine controllata, l’ingresso nel mercato europeo di prodotti geneticamente modificati e l’arrivo nei supermercati Ue di carni lavate col cloro o provenienti da animali imbottiti di antibiotici sono infatti fra le maggiori poste in palio in questi negoziati.
Si tratta di una tendenza a preferire “drammaticamente” il dialogo con la grande industria rispetto a quello con la società civile che, secondo le ong, nonostante le promesse non è cambiata nemmeno dopo l’insediamento della commissaria Ue al Commercio Cecilia Malmström, avvenuto nel novembre 2014. Lo studio mostra come nei primi sei mesi a guida Malmström, i membri del suo gabinetto e della direzione generale hanno avuto 121 incontri a porte chiuse con diversi lobbisti durante i quali si è parlato di Ttip. L’83% delle riunioni ha visto la partecipazione del mondo dell’industria, mentre solo il 16,7% ha coinvolto la società civile. Significa che per ogni incontro con un sindacato o un’associazione di consumatori gli uffici di Malmström ne hanno effettuati altri cinque con i gruppi industriali.
Un altro dato significativo che emerge dalla ricerca è che la pressione sulle istituzioni è esercitata quasi esclusivamente da lobby statunitensi e dell’Europa occidentale. Nessun incontro, infatti, è stato registrato fra la Commissione e rappresentanti di compagnie greche, portoghesi, cipriote, maltesi, polacche, bulgare, ungheresi, ceche, slovene, estoni, lituane o lettoni. Inoltre, un gruppo d’interesse su cinque fra quelli incontrati dalle istituzioni comunitarie non risultano all’interno del Registro per la trasparenza, al quale l’iscrizione è facoltativa.
“Questi dati giustificano le preoccupazioni di milioni di cittadini sulle minacce del Ttip” spiega Pia Eberhardt, ricercatrice del Corporate Europe Observatory. “Mentre i lobbisti del grande business sono tenuti strettamente all’interno del circuito ed esercitano una forte influenza sui negoziati – continua l’attivista – i gruppi che rappresentano il pubblico interesse sono tenuti alla larga. Il risultato è un’agenda per il Ttip che chiama in causa standard fondamentali sia sui diritti dei cittadini che sull’ambiente, ma è il business a espandere drammaticamente il suo potere sulla politica sia in Europa che negli Stati Uniti”. Secondo i ricercatori, nell’attività di lobby sul partenariato transatlantico le grandi industrie delle due sponde dell’oceano per la prima volta si sono messe insieme per spingere le istituzioni nella stessa direzione, creando anche associazioni ad hoc che riuniscono imprenditori americani ed europei.