Bruxelles – Prestare soldi alla Grecia “sì”, ma come? Il finanziamento ponte previsto dall’intesa trovata dopo una maratona negoziale di diciassette ore nell’ultimo Eurosummit è sostenuto a livello politico (non senza qualche mal di pancia), ma a livello tecnico e giuridico si cerca di capire come tradurlo in pratica. La soluzione “più europea” e anche più semplice sarebbe garantire un prestito da 13,2 miliardi attraverso il Meccanismo europeo di stabilità finanziaria (Efsm), il fondo salva-stati d’emergenza già utilizzato per i programmi di assistenza per Irlanda e Portogallo. Il fondo non ha esaurito tutta la sua riserva: dei 60 miliardi di Euro complessivi ne sono stati utilizzati 46,8 miliardi (22,5 per l’Irlanda e 24,3 per il Portogallo) e i 13,2 miliardi rimanenti consentirebbero di far fronte alle esigenze elleniche per luglio (sette miliardi) e agosto (cinque miliardi). Inoltre per l’esborso, data la situazione emergenziale, basterebbe un voto a maggioranza qualificata dei ventotto membri dell’Ue (le risorse sono garantite dalla Commissione europea attraverso il bilancio dell’Unione europea, e dunque di tutti gli Stati membri). Poi, una volta che il programma Esm richiesto dalla Grecia sarà attivato, lo stesso Meccanismo europeo di stabilità rimborserà il prestito da 13,2 miliardi al fondo Efsm, risarcendo dunque gli Stati membri. Un modo anche per frenare le resistenze di quanti – soprattutto Regno Unito – già dicono di non volere mettere neppure un soldo nel prestito ponte.
Una seconda ipotesi è l’anticipo dei pagamenti alla Grecia previsti dai vari programmi comunitari. Al Paese ellenico spetterebbero per il periodo 2014-2020 qualcosa come 35 miliardi di Euro, e la Commissione – già da tempo – sta valutando il modo di mettere sul piatto prima del previsto le risorse (tutte o parte) previste da questi. Le risorse, per loro natura, non sono destinate però a uso diverso da quello per cui sono state individuate. Programmi per lo sviluppo rurale, in sostanza, non sono lì per ripagare i creditori. La Commissione studia dunque un modo per cui aggirare questo problema. Trattandosi di fondi comunitari, l’Esm potrebbe agire come nel caso precedente, e rimborsare l’Ue una volta attivato il terzo programma di salvataggio.
C’è poi la via, tutta da esplorare, di prestiti bilaterali tra Grecia e altri Stati membri dell’Eurozona. In questo modo però Atene maturerebbe altri debiti, e bisogna chiarire chi li garantirebbe. Si cerca di capire se una volta attivo il programma di assistenza dell’Esm lo stesso fondo salva-stati possa risarcire il Paese membro al centro dell’accordo bilaterale.
Sul tavolo anche l’ipotesi di un pagamento dei profitti proveniente dai Security Market Programmes (Smp), i programmi di acquisto di titoli di Stato da parte della Bce decisi a maggio 2010 per dare ossigeno ai Paesi soffocati dal debito (e che Tsipras chiede da sempre). Questa strada però trova almeno due ostacoli. I profititti maturati sono pari a 10,9 miliardi di Euro e Atene ha necessità per 12 miliardi, quindi si tratterebbe di un prestito ponte dalla durata minore, che imporrebbe all’intera macchina comunitaria di rendere operativo l’Esm in tempi più rapidi per colmare il gap da 1,1 miliardi che si verrebbe a trovare. Il secondo scoglio è rappresentato dal fatto che la Bce, l’organismo responsabile del trasferimento dei profitti, ha legato tale trasferimento al completamento del secondo programma di assistenza, scaduto senza essere ultimato. Di fatto questi 10,9 miliardi sono congelati, ma essendo l’Eurogruppo che deve decidere in merito, si potrebbe avere uno strappo alla regola se il Parlamento ellenico approvare le riforme entro domani come chiesto dall’Eurosummit. Qui i condizionali sono d’obbligo.