di Monica Di Sisto
«Un maiale col rossetto resta pur sempre un maiale». L’immagine utilizzata dalla campagna Stop TTIP europea per commentare la Risoluzione del Parlamento europeo sul Partenariato transatlantico approvata il 9 luglio a Strasburgo con 436 voti a favore, 241 contro e 30 astensioni, è quella più calzante per raffigurare quel testo di compromesso al ribasso con cui, con un’abile forzatura del regolamento di seduta, il presidente socialista Martin Schulz ha invertito l’ordine di discussione degli emendamenti, mettendo al sicuro dai franchi tiratori il proprio testo di compromesso. Schulz ha dichiarato decaduto l’emendamento 40, l’unico che avrebbe permesso di far cassare all’aula la previsione nel TTIP dell’arbitrato privato di protezione degli interessi degli investitori sulle decisioni degli Stati (il famigerato ISDS), su cui il gruppo socialdemocratico si era spaccato.
Sotto la propria responsabilità, poi, ha imposto la votazione del proprio testo di compromesso in cui, con un politichese impeccabile, nei fatti sostituisce l’ISDS con lo stesso meccanismo, che evita di chiamare con lo stesso nome, ma definisce «meccanismo per risolvere le dispute tra investitori e Stati», cioè precisamente la traduzione della sigla stessa. Un meccanismo cui, proprio come nell’ISDS, possono ricorrere solo gli investitori, non gli Stati, tantomeno i cittadini semplici. Cause che potrebbero essere promosse «qualora gli interessi provati non possano minare gli obiettivi delle politiche pubbliche», ma anche questo limite è posto senza spiegare che chi deciderà se gli obiettivi pubblici siano prevalenti o no sarebbe lo stesso meccanismo arbitrale, e non la giustizia ordinaria cui sono costretti a rivolgersi i cittadini semplici, ma anche le imprese che operano solo a livello nazionale o regionale.
Quindi un compromesso che non mira alla sostanza, ma ha offerto ai colleghi parlamentari un escamotage per votare l’ISDS facendo finta di no. «L’ISDS è morto» ha provato a farci credere cinguettando il presidente del gruppo socialista Gianni Pittella, ma non ci hanno creduto nemmeno tutti i suoi colleghi, considerando che ben 56 europarlamentari del suo gruppo non hanno approvato la risoluzione redatta dal compagno di partito Bernd Lange. Fra questi spiccano i PD Renata Briano, Pier Antonio Panzeri e Daniele Viotti, insieme agli ormai ex PD Sergio Cofferati ed Elly Schlein. Hanno votato “no” in maniera compatta anche le delegazioni belghe, francesi e britanniche, con l’unica eccezione dell’inglese David Martin, membro della Commissione Commercio internazionale, come Lange.
D’altronde a dire “sì” c’è voluta davvero tanta faccia tosta, dopo mesi in cui oltre due milioni e mezzo di firme di cittadini europei – oltre 56mila solo in Italia – e poi migliaia di email, tweet, messaggi Facebook avevano chiaramente manifestato agli europarlamentari una crescente opposizione al Trattato in tutti i paesi dell’Unione. Per di più, tutti gli emendamenti sostenuti dalla società civile sono stati sacrificati all’altare del grande compromesso popolare-socialdemocratico, nella peggiore tradizione europea delle grandi coalizioni, garantendo così una cornice flessibile e assolutamente non problematica né vincolante alla Commissione europea, che potrà continuare esattamente come prima a negoziare con gli Stati Uniti un accordo a favore di pochi.
È saltato l’emendamento sulla Human Rights Clause, che avrebbe anteposto la tutela vincolante dei diritti umani rispetto alle dinamiche di mercato. Resta un capitolo sullo sviluppo sostenibile solamente consultivo senza nessuno strumento impositivo. Viene bocciata la lista positiva per i servizi pubblici, che avrebbe permesso di scrivere nero su bianco i servizi che si vogliono mettere sul mercato, salvaguardando quelli non elencati. Viene bocciata la possibilità di inserire il riferimento a settori sensibili da escludere dal negoziato, come dovrebbe avvenire per alcune produzioni agricole, fortemente a rischio di estinzione.
Per lisciare dalla parte del pelo le centinaia di associazioni che sostengono le campagne Stop TTIP , si inseriscono diciture vaghe e non vincolanti rispetto al fatto che «non vi sarà alcun accordo nei settori in cui l’Unione europea e gli Stati Uniti hanno norme molto diverse, come ad esempio nel caso dei servizi sanitari pubblici, gli OGM, l’impiego di ormoni nel settore bovino, il regolamento REACH e la sua attuazione e la clonazione degli animali a scopo di allevamento», ma alla Commissione si «chiede» – non si dispone – «che non siano condotti negoziati in proposito», anche perché si sa che gli USA hanno già dichiarato la propria indisponibilità a trattare con questi paletti.
Lunedì 13 luglio, d’altro canto, la Commissaria europea al Commercio Cecilia Malmstrom riceverà a Bruxelles il collega Froman per dar vita al nuovo ciclo di negoziati sul TTIP, contando su questa bella pacca sulla spalla datale dal Parlamento ma dovendo fare i conti anche su una crescente determinazione del fronte del “no”. CGIL, CISL e UIL, solo per guardare al nostro paese, hanno inviato una lettera congiunta ai parlamentari europei eletti in Italia con cui esprimono la loro «insoddisfazione» per l’intesa raggiunta. Per i sindacati, il compromesso sull’ISDS, l’arbitrato internazionale per proteggere gli investimenti delle imprese contro gli interessi dei paesi, è «totalmente inadeguato a impedire che un sistema privato di risoluzione delle controversie produca, come già è accaduto in numerosi casi, effetti diretti e indiretti sulla capacità degli Stati di legiferare nell’interesse dei cittadini».
Crediamo infatti – prosegue la lettera – che i due sistemi economici coinvolti siano già così amalgamati da non necessitare di alcun meccanismo privato di risoluzione delle dispute commerciali per promuovere ulteriori ambiti di convergenza. Consideriamo solidi e garantisti i sistemi giudiziari che, in ambito europeo e statunitense, già offrono la più alta qualità di protezione per investitori e cittadini.
E annunciano che continuerà la loro iniziativa di mobilitazione e di pressione sulle istituzioni europee, in accordo con la Confederazione europea dei sindacati e con la Federazione americana del lavoro. Anche la campagna Stop TTIP europea si riunirà a Bruxelles in parallelo ai negoziati ufficiali, per programmare un autunno caldo di mobilitazioni che culminerà in ottobre in una nuova ondata di manifestazioni e azioni dirette di opposizione al trattato in tutta Europa. Se l’ISDS è davvero morto, d’altro canto, le prossime settimane saranno per Parlamento e Commissione un banco di prova per dimostrarlo. Oltre al negoziato sul TTIP, infatti, si dovrebbe arrivare presto a Bruxelles all’esame dei trattati di liberalizzazione degli scambi con il Canada (CETA) e con Singapore. Se salterà davvero o si riproporrà pari pari, velato di rossetto, sarà onere del presidente Pittella e dei suoi colleghi dimostrarlo con i fatti.