di Elido Fazi
A gennaio, subito dopo la vittoria di Alexis Tsipras, avevamo suggerito a Matteo Renzi di cavalcarla e di mettersi a fianco dei greci nella battaglia anti-austerity. Renzi, mal consigliato, ha deciso diversamente e, secondo noi, ha fatto un clamoroso errore politico su cui ora dovrebbe riflettere seriamente. Nel momento in cui il progetto europeo firmato a Roma nel 1958 rischia di naufragare, l’Italia si è messa a rimorchio dell’egemone non illuminato, Angela Merkel.
Renzi ha dimenticato che l’Italia, al contrario della Germania, non è un paese creditore ma un paese debitore. Altresì, dopo gli Stati Uniti e il Giappone, che però hanno le loro banche centrali che possono agire da prestatrici di ultima istanza, l’Italia ha il più grosso debito pubblico in assoluto al mondo, pari a sette volte quello della Grecia, ed è quindi particolarmente vulnerabile alle speculazioni finanziarie che potrebbero esplodere in caso di Grexit (checché ne dica jl ministro Padoan).
Cosa succederà nei prossimi giorni? Vediamo come è la situazione oggi, venerdì 10 luglio alle ore 14.00, nel momento in cui scriviamo. Mercoledì la Grecia ha fatto una richiesta all’ESM, il fondo salva-Stati, che, se le cose vanno in un certo modo, la settimana prossima potrebbe essere ribattezzato il fondo affossa-Stati.
Ieri sera, giovedì, la Grecia ha fatto l’ennesimo compitino, e ha inviato alle autorità europee i suoi progetti di riforma. Secondo il trattato che governa l’ESM, che ha un capitale di 500 miliardi, entro stasera la Commissione europea e la BCE dovranno valutare positivamente la richiesta greca prima che torni alle capitali nazionali, cioè essenzialmente a Berlino (le altre capitali europee oggi, con la parziale eccezione di Parigi, non contano nulla).
Ma ormai sembra che i tempi per un accordo siano veramente troppo stretti affinché possa essere raggiunto. Se la valutazione del sempre più stanco e poco lucido presidente della Commissione Jean-Claude Juncker e del nostro Mario Draghi (che sembra si sia rifugiato in Umbria per decidere) dovesse essere non-negativa, la richiesta verrà discussa sabato, giorno decisivo, dai ministri delle finanze che fanno parte dell’Eurogruppo il cui Presidente è il “feroce” olandese Jeroen Dijsselbloem. Se i ministri dovessero decidere che «c’è un rischio alla stabilità finanziaria dell’euro area nel suo complesso» (sic!) – e se al compitino greco viene data la sufficienza, anche se fosse un 6 meno meno –, allora l’Eurogruppo potrebbe dare via libera alla stesura dell’ennesimo “Memorandum of Understanding”, che per i greci ormai significa automaticamente bastonatura. E questa decisione dovrebbe poi essere ratificata nella riunione di domenica di tutti e 28 i capi di Stato dell’Europa. Per chi non lo sapesse, ricordiamo che il principale obiettivo dell’ESM, quando fu creato, era di intervenire qualora ci fosse stato il rischio di una destabilizzazione dell’area euro.
Ma non è finita qui. Anche se domenica sarà data luce verde per procedere in questa direzione, ci sono numerosi paesi (tra cui la Germania, la Finlandia e i Paesi Bassi) che avranno bisogno dell’approvazione parlamentare prima che la trattativa possa andare avanti. Naturalmente i finlandesi e gli olandesi faranno quello che i tedeschi gli consiglieranno di fare, così la decisione più importante è quella che prenderà il Bundestag, attualmente in vacanza, che dovrebbe essere convocato d’urgenza lunedì prossimo per dare l’ok al proseguimento della trattativa, esito non scontato, vista la ferocia espressa negli ultimi mesi dai parlamentari e dai media tedeschi.
Insomma, le possibilità che l’Europa, all’ultimissimo secondo, riesca a trovare una soluzione, sembra altamente improbabile (a meno di miracoli!). A questo punto, l’unica soluzione, secondo noi, non potrà venire da Berlino ma dall’altra sponda dell’Atlantico. Non è un caso che nello stesso giorno, mercoledì 9 luglio, il ministro del Tesoro americano Jack Lew e Christine Lagarde, direttore del Fondo monetario internazionale, abbiano fatto pressioni sull’Europa affinché facciano di tutto per evitare un Grexit, che persino per gli americani sarebbe un evento nefasto. Sia Lew che la Lagarde hanno dichiarato pubblicamente che è necessaria una ristrutturazione del debito greco. «La Grecia è in una situazione di acuta crisi – ha affermato la Lagarde – che ha bisogno di essere affrontata seriamente e rapidamente». Lew ha fatto scattare l’allarme a livello internazionale dichiarando che il Grexit causerebbe danni a tutti per centinaia di miliardi e avrebbe conseguenze non immaginabili allo stato presente. È questo l’avvertimento più clamoroso partito finora dall’amministrazione Obama affinché i tedeschi si pieghino al compromesso. Lew ha esplicitamente invitato i paesi europei a ristrutturare il debito greco, pari oggi a 317 miliardi. Il governo americano ha fatto sapere che, se la patata bollente fosse nelle loro mani, saprebbero cosa fare. «Una soluzione è fattibile, ma non c’è certezza che possa essere raggiunta politicamente. C’è un enorme lavoro da fare nel breve periodo e il rischio di un incidente cresce di giorno in giorno quando si crea un ultimatum dopo l’altro».
Martedì scorso Obama ha parlato prima con Tsipras e poi con la Merkel. Obama è oggi il più fervente avvocato della ristrutturazione del debito greco. E senz’altro la Casa Bianca era al corrente della decisione e ha appoggiato la scelta dell’FMI di far uscire un’approfondita analisi della sostenibilità del debito greco, analisi usata da Tsipras prima del referendum di domenica scorsa. Secondo gli americani, come ricorda il premio Nobel Joseph Stiglitz sull’ultimo numero della rivista Time, la più dura e ingenerosa in queste circostanze è la Germania, che sembra aver dimenticato di aver ricevuto, in termini reali, il più grande taglio del debito della storia nel dopoguerra grazie alla generosità degli americani e che ora non vuole neanche sentir nominare il termine debt relief.
Lo storytelling della crisi imposto dai tedeschi (pura propaganda a loro favore) e sposato da quasi tutti i media europei ha fatto finta di ignorare che il rapporto tra debito pubblico e PIL nei paesi dell’eurozona è cresciuto di 20 punti dal 2008 in poi non perché i greci, gli irlandesi, i portoghesi, gli spagnoli e gli italiani siano scansafatiche e per mantenere i loro standard abbiano aumentato la spesa pubblica all’inverosimile, ma perché i debiti privati delle banche (tra cui alcune delle più grandi banche tedesche e francesi) sono stati passati dal settore privato a quello pubblico. Quando una potenza egemone come la Germania impone il suo storytelling raccontando una storia falsa introduce un pericoloso virus nel discorso pubblico europeo. Dobbiamo tutti ringraziare il coraggioso David greco, Alexis Tsipras, se finalmente lo storytelling europeo comincia ad avvicinarsi alla verità.
Se non si dovesse raggiungere un accordo entro lunedì sera la palla tornerà nel campo di Mario Draghi, che dovrà prendere la decisione finale sul che fare. Se non dovesse agire come prestatore di ultima istanza, ubbidendo al diktat tedesco, allora la banca centrale greca (con un nuovo governatore, che potrebbe anche essere Yanis Varoufakis) non avrà altra scelta che creare una moneta parallela. A quel punto il governo potrebbe ricapitalizzare le banche con la nuova moneta.
L’economia greca – risolto il problema della ristrutturazione del debito – è ormai in equilibrio. Ha un avanzo primario nei conti dello Stato, cioè incassa più di quanto spende, al netto degli interessi pagati sul debito – considerando come temporaneo il deterioramento dei conti pubblici avvenuto nelle ultime settimane – e ha persino un avanzo nella parte corrente della bilancia dei pagamenti pari a quasi 3 miliardi, cioè esporta più di quello che importa in beni e servizi. Insomma è un’economia, nonostante tutto, strutturalmente sana.
Come ricorda Stiglitz scrivendo da un ramo del lago di Como dove sta passando una vacanza di lavoro:
Gli Stati Uniti furono generosi con la Germania dopo che riuscimmo a sconfiggerla. È ora il momento per gli Stati Uniti di essere generosi con i nostri amici greci nel momento del bisogno, che per la seconda volta in un secolo sono schiacciati dai tedeschi, questa volta con il supporto della troika. Da un punto di vista tecnico la banca centrale americana, la Federal Reserve, dovrebbe aprire una linea di credito con la banca centrale greca che – come risultato del fallimento della BCE nell’assumersi la propria responsabilità – dovrà accollarsi il ruolo di prestatore di ultima istanza. La Grecia ha bisogno di aiuto umanitario “incondizionato”, ha bisogno che gli americani comprino i suoi prodotti, vadano in vacanza lì e mostrino solidarietà con i greci e un’umanità che i suoi partner europei non sono stati in grado di mostrare.
Quello che gli europei invece hanno saputo mostrare benissimo è La ferocia (titolo del libro di Nicola La Gioia che ha vinto la settimana scorsa il Premio Strega). Le barzellette del ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schäuble – che ieri ha proposto agli americani di fare uno scambio tra Puerto Rico e la Grecia, come se l’Europa fosse sua e ci potesse giocare a piacimento, come a Risiko – non fanno ridere nessuno. Meglio quelle di Berlusconi.
In conclusione, benvenuto all’amico americano. Anzi, aggiungiamo che, se per una fortunata circostanza, Obama dovesse nella stessa settimana chiudere il negoziato con l’Iran e salvare la Grecia o attraverso la Federal Reserve o attraverso l’FMI, si conquisterebbe un posto di tutto rispetto nella storia. Angela Merkel, al contrario, verrebbe ricordata soltanto come colei che riuscì a sfasciare l’Europa.