La riforma della scuola ha ricevuto l’ok definitivo della Camera. Si accende così il semaforo verde per l’assunzione a tempo indeterminato di poco più di 100 mila precari, risolvendo un vulnus aperto dalla sentenza della Corte di giustizia europea, che a novembre dello scorso anno aveva condannato l’Italia per il “rinnovo illimitato” di contratti a tempo. Secondo il ministro dell’Istruzione Stefania Giannini, tuttavia, il piano di assunzioni “non è una operazione dovuta a una sentenza europea”, perché questa non dava “nessuna indicazione in questo senso”. Una tesi che il ministro aveva già sottolineato in passato.
Il sì al riordino della scuola aggiunge un tassello al programma di riforme presentato dal governo all’Ue, rispettando i tempi indicati – nel cronoprogramma consegnato alla Commissione europea l’impegno era di approvare il provvedimento entro il 2015 –. Lo stesso presidente del Consiglio, Matteo Renzi, ha commentato l’approvazione di oggi sottolineando proprio i progressi della tabella di marcia per le riforme, sulla quale si sono fatti “altri due passi in avanti”, ha scritto sulla sua pagina Facebook, perché oltre al provvedimento sull’istruzione anche quello sulla pubblica amministrazione è stato incardinato “alla Camera per il rush finale”. Fisco e riforme costituzionali sono i prossimi passi indicati.
Secondo il capo dell’esecutivo, il risultato odierno sulla scuola è arrivato “grazie al lavoro di una maggioranza straordinaria”. In realtà, nel corso dei mesi di consultazioni e contestazioni sindacali che hanno accompagnato l’iter del provvedimento, non sono mancate spaccature in seno all’alleanza di governo e allo stesso partito del premier. Difficoltà che si sono viste anche nel voto di oggi.
Il disegno di legge è stato infatti approvato con appena 277 voti a favore, ben al di sotto dei numeri su cui si fonda il sostegno all’esecutivo. Scontato il voto contrario di Sel, Lega, Movimento 5 Stelle e Forzia Italia (con l’eccezione di 4 deputati verdiniani), ma qualche no è arrivato anche dalle fila del Pd. Sono stati 5 i deputati dem a votare contro il provvedimento (Alfredo D’Attorre, Angelo Capodicasa, Vincenzo Folino, Carlo Galli e Giuseppe Zappulla), mentre altri 25 circa sono risultati assenti ‘ingiustificati’ al momento del voto, tra cui i big Pier Luigi Bersani, Gianni cuperlo, Rosy Bindi – che si è pure dimessa dalla commissione Affari costituzionali, anche se per altri motivi – e l’ex capogruppo Roberto Speranza.
Oltre al piano di assunzioni, la riforma conferisce maggiore potere e autonomia ai dirigenti scolastici, introduce un sistema di valutazione del merito per il preside e gli insegnanti, i cui scatti di anzianità dipenderanno non più solo dagli anni di attività, ma anche dalle valutazioni ricevute. È uno degli aspetti contestati della riforma, insieme con i provvedimenti in favore delle scuole private, con la possibilità di detrazione delle rette e gli sgravi per le donazioni fino a 100 mila euro annui.
Forti le proteste dei sindacati che hanno manifestato davanti a Montecitorio. Domenico Pantaleo, segretario della Flc-Cgil, parla di “pagina nera per la nostra democrazia” e accusa il governo di aver agito “in modo arrogante e autoritario” per far approvare una legge che “accentua le disuguaglianze sociali e territoriali, demolisce ulteriormente la scuola pubblica, cancella diritti e libertà, non risolve il problema della precarietà per docenti e Ata e riduce gli spazi di democrazia e partecipazione”.
Anche gli studenti dell’Uds sono sul piede di guerra. Nella notte hanno simbolicamente imbavagliato decine di statue nella Capitale, ma promettono che le proteste non finiranno qui. “Le scuole, da settembre, saranno un problema per il governo Renzi”, ha annunciato Danilo Lampis, coordinatore nazionale dell’organizzazione il quale promette: “boicotteremo i dispositivi di valutazione e creeremo nuovi organi di partecipazione per bloccare l’applicazione della Riforma”.