da uno dei nostri inviati ad Atene
Un’analisi degli scenari post-voto voto basata su un report interno di Deutsche Bank del 19 giugno 2015 dal titolo Focus Europe. On the Edge. Ringraziamo FEF Academy per la raccolta dei dati e la rielaborazione delle informazioni.
Che succederà con il sistema bancario greco? L’introduzione di controlli di capitale rappresenta il primo passo verso il Grexit?
Nell’immediato le banche riapriranno ma il governo sarà costretto a mantenere i controlli sui movimenti di capitale istituiti la settimana scorsa. Questo non rappresenta necessariamente il primo passo verso l’uscita della Grecia dall’eurozona, come hanno sostenuto in molti. C’è il precedente di Cipro, che nel 2013 ha istituito dei controlli di capitale senza per questo uscire dall’euro. All’inizio di quest’anno Cipro ha interrotto questi controlli e al momento la situazione si sta normalizzando sia per quanto riguarda i flussi di capitali in entrata che quelli in uscita. Infatti, molti dei controlli sono terminati abbastanza velocemente e solamente il controllo sui grossi trasferimenti transfrontalieri è rimasto in vigore per tutto il 2015. Inoltre, a Cipro il controllo sui capitali ha giocato un ruolo chiave nella risoluzione dei problemi legati al sistema bancario. È stato infatti realizzato quello che in gergo tecnico si chiama bail-in, ossia un prelievo sui depositi non assicurati presenti sui bilanci delle banche come via per il salvataggio degli istituti di credito.
Ma il caso di Cipro e quello della Grecia presentano anche delle differenze. Il contesto cipriota vedeva un’alta incidenza di grandi depositi di soggetti esteri, il cui spostamento avrebbe generato una maggiore instabilità nel sistema bancario. In Grecia, invece, il controllo dei capitali è stato introdotto ufficialmente per limitare l’esposizione del sistema bancario greco e della banca centrale greca nei confronti dell’Eurosistema (l’insieme delle banche centrali nazionali dell’area euro), non per una risoluzione dei problemi del sistema bancario greco. In realtà, infatti, il fatto di limitare i prelievi (60 euro al giorno al massimo) e la conseguente chiusura delle banche erano funzionali ad evitare che il sistema bancario ellenico si ritrovasse privo della liquidità necessaria a garantire lo spostamento di fondi all’estero (come stava avvenendo in maniera crescente negli scorsi mesi). Domenica 28 giugno la BCE ha deciso di mantenere invariato il tetto dell’Emergency Liquidity Assistance (ELA) per le banche greche a 89 miliardi. Attraverso l’ELA, la BCE (nello specifico tramite la banca centrale greca previa autorizzazione della BCE stessa) presta riserve alle banche elleniche in cambio di garanzie (collaterale) in modo che possano far fronte ai loro pagamenti interbancari derivanti dallo spostamento di fondi dai loro conti correnti a quelli di altri paesi. In pratica l’ELA consente di addebitare il conto riserve delle banche greche nel momento in cui c’è una fuoriuscita netta di depositi.
Lo scorso febbraio, infatti, le banche greche erano state tagliate fuori dalle normali operazioni di rifinanziamento presso la BCE, che aveva deciso di non accettare più a garanzia i titoli del debito pubblico greco, lasciando di fatto aperta come unica finestra di rifinanziamento quella dell’ELA. In questo scenario, senza la garanzia di ulteriori prestiti, un deflusso di denaro dai depositi bancari delle banche greche verso l’estero avrebbe comportato l’impossibilità di effettuare quei trasferimenti da parte del sistema bancario ellenico. Come previsto anche da Deutsche Bank ben prima che ciò avvenisse la «BCE potrebbe accelerare i controlli sui capitali in via indiretta fissando un tetto all’ELA. Se la BCE ponesse un limite all’ELA non ci sarà modo di finanziare ulteriori spostamenti di depositi dalle banche greche. Per scongiurare una corsa agli sportelli su vasta scala, la Grecia potrebbe essere costretta a chiudere le banche e riaprirle in un regime di controllo sui capitali, in modo da mantenere l’accesso ai contanti in euro all’interno del limite dell’ELA». È vero anche che invece della chiusura delle banche sarebbe forse stato sufficiente introdurre una semplice limitazione ai prelievi in euro, evitando forse i forti disagi e il malcontento dei cittadini rispetto a questa situazione.
Pertanto, per concludere, possiamo dire che il controllo dei capitali sembra più un dispositivo temporaneo utile a prendere tempo per vedere quali saranno i prossimi sviluppi. Comunque sia, molto dipenderà da quello che la BCE deciderà di fare sull’ELA. Non a caso, forse, il presidente dell’Eurogruppo Dijsselbloem ha commentato qualche mese fa che il controllo dei capitali potrebbe essere una parte della strategia per tenere la Grecia all’interno dell’area euro.
Cosa potrebbe fare la BCE nei confronti delle banche greche?
L’attuale esposizione della BCE nei confronti delle banche greche è di 116,4 miliardi di euro (stando agli ultimi dati della banca centrale greca pubblicati il 23 giugno e riassunti nel grafico in basso). La cifra è composta dalla liquidità concessa dalla BCE per le operazioni di politica monetaria: operazioni di rifinanziamento principali (29 miliardi e 800 milioni) e operazioni a lungo termine (9 miliardi). A queste due voci si aggiunge poi la liquidità erogata tramite l’ELA (77 miliardi e 576 milioni). Secondo i dati riportati da Deutsche Bank, circa 38,5 miliardi di fondi prestati alle banche sono coperti da collaterale di buona qualità (come per esempio i titoli per la ricapitalizzazione delle banche greche emessi dall’EFSF, il fondo salva-Stati). Inoltre, secondo i numeri pubblicati della stessa banca centrale greca, le attività finanziaria accettate come collaterale per le operazioni di rifinanziamento dell’ELA sono pari a 156,2 milioni di euro. In aggiunta, la BCE detiene 27 miliardi di titoli di Stato greci, acquistati all’interno del Securities Market Program. Entro la fine di agosto la Grecia dovrà ripagare in due scadenze (20 luglio e 20 agosto) un totale di 7,2 miliardi di euro all’istituto di Francoforte. Complessivamente, dunque, la BCE risulta esposta rispetto alla Grecia per 143,4 miliardi di euro. A questa cifra togliamo i 38,5 miliardi di collaterale di buona qualità e abbiamo un’esposizione netta potenziale di 104,9 miliardi di euro. In caso di uno scenario negativo, la BCE potrebbe dover registrare questa cifra come perdita sul proprio bilancio. La BCE, all’indomani del voto greco, ha diverse opzioni di fronte a sé:
- Potrebbe decidere di interrompere l’ELA e quindi costringere il sistema bancario greco a finanziare i propri depositi in euro tramite altri canali (magari indebitandosi sui mercati monetari interazionali).
- Potrebbe, come ha fatto, mettere un tetto massimo all’ELA e quindi alla liquidità che la banca centrale greca può offrire al sistema bancario. Creando così problemi in caso di spostamento netto di depositi fuori dal sistema bancario greco.
- Potrebbe non interrompere l’ELA ma applicare un discount più elevato ai titoli utilizzati dalla banche greche come collaterale. In pratica se con un titolo utilizzato a garanzia del prestito ieri ti davo 100 in riserve, da domani applicando un discount maggiore ti darò 98. Anche questo potrebbe creare qualche problema alle istituzioni creditizie elleniche. Anche se, secondo l’ultimo bilancio mensile della banca centrale greca, le attività eleggibili come collaterale per le operazioni legate all’ELA sono pari a 156 miliardi di euro. Ben al di sopra del tetto stabilito questa settimana dalla BCE per l’ELA a 98 miliardi.
- La BCE potrebbe decidere di estendere l’ELA fintanto che valuterà buone le attività utilizzate dalla banche greche come collaterale. Come peraltro lo stesso Mario Draghi aveva dichiarato lo scorso 15 giugno al Parlamento europeo prima che i negoziati precipitassero: «La liquidità continuerà ad essere estesa fino a che le banche greche sono solventi e hanno collaterale sufficiente».
- La BCE potrebbe stabilire che le banche greche potranno finanziarsi presso essa a prescindere dalla qualità del loro collaterale. Operativamente parlando la cosa è fattibile, ma non sembra poterlo essere politicamente. Lo scorso 5 marzo Draghi ammetteva che la BCE può essere «pronta a ripristinare la deroga» che consente di accettare i titoli di Stato ellenici come collaterali, anche se con rating non investment grade, «una volta che ci sarà una valutazione positiva» da parte delle istituzioni.
La Grecia potrebbe fare default e rimanere nell’eurozona?
La risposta è sì. Anche in caso di default da parte del governo di Atene infatti potrebbero non esserci conseguenze per il sistema bancario greco. Come abbiamo visto i titoli di Stato greci presenti sui bilanci delle banche greche ammontano a soli 13,6 miliardi e quindi le conseguenze sul loro capitale dovrebbero essere modeste. Anche se, fa notare Deutsche Bank, potrebbero esserci conseguenze sulla qualità dei prestiti erogati dalla banche attualmente a bilancio. Se infatti il default dovesse innescare conseguenze negative e portare ad un ulteriore peggioramento dello scenario economico si potrebbe verificare un deterioramento della qualità delle attività finanziarie detenute dal sistema bancario ellenico. E, ipoteticamente, ciò potrebbe richiedere un bail-in stile Cipro per mantenere il sistema bancario all’interno dell’Eurosistema. Ma, in ogni caso, fintanto che la BCE (direttamente o tramite la banca centrale greca) accetterà il collaterale delle banche greche e quindi garantirà loro la liquidità necessaria, non sembra esserci la possibilità di un’uscita forzata dall’euro per la Grecia. Insomma, non esiste uno strumento legale per “buttare fuori” un paese dall’eurozona.
Quali sono gli scenari più probabili a questo punto?
- Si torna al tavolo delle trattative. Viene trovato un nuovo accordo, che stando alle volontà espresse da Atene deve prevedere uno ristrutturazione del debito pubblico greco e viene ripristinato così il programma di aiuti verso Atene. In aggiunta, presumibilmente, la BCE estenderà il tetto dell’ELA.
- In aggiunta al punto precedente la Grecia potrebbe introdurre e affiancare all’euro una sorta di valuta parallela, con la quale effettuare pagamenti interni (la quota potrebbe essere variabile). Peraltro, questa indiscrezione sembra avere un certo fondamento dato che è stata riportata anche dal Financial Times il 30 giugno. La notizia è stata riportata anche su altri organi di stampa. Da un punto di vista legale, infatti, nulla vieta ai governi dell’eurozona di ridenominare gli obblighi fiscali dei propri cittadini in altri strumenti finanziari e quindi un’azione di questo tipo potrebbe offrire una serie di vantaggi.
- Lo scenario più estremo potrebbe essere quello di un ritorno alla dracma o comunque a una valuta nazionale. In quel caso la banca centrale greca non farà più parte dell’Eurosistema e il governo deciderà presumibilmente di convertire nella nuova valuta conti correnti e debito pubblico (tranne quello sotto legislazione estera). Non è possibile fare in questa sede un’analisi dettagliata delle conseguenze di questo scenario, ma brevemente possiamo dire che è probabile il profilarsi di una svalutazione della nuova dracma e molto dipenderà dalle successive politiche fiscali messe in campo dal governo e da quelle monetarie della banca centrale greca.
Certamente, se la Grecia dovesse decidere un giorno di lasciare l’euro in maniera autonoma, lo scenario b) sembra quello più plausibile. Anche Deutsche Bank concorda su questo punto: «Se l’uscita della Grecia dall’euro avverrà, noi sospettiamo che arriverebbe alla fine di un ulteriore negoziato prolungato, probabilmente dopo un periodo di controlli dei capitali e possibilmente con l’utilizzo di una valuta parallela mentre viene preparata un’altra valuta a corso legale e viene ristrutturato il sistema bancario».
Lo scenario c), comunque, potrebbe essere percorso anche senza un referendum e quindi sembra assai improbabile, soprattutto alla luce del fatto che in nessun modo la Grecia può essere estromessa dall’euro in modo forzato dalle istituzioni europee anche in caso di default. Se il governo avesse optato per questa soluzione non avrebbe avuto certamente bisogno di passare per un referendum.