Intervista a James Galbraith, amico e “consigliere” di Yanis Varoufakis. Dal nostro inviato ad Atene
Professor Galbraith, un giudizio sul voto?
Oggi è un grande giorno: i greci hanno scelto la dignità e la speranza e hanno detto di no ai ricatti dei creditori e a un programma economicamente folle. È la dimostrazione che il governo ha fatto bene a rifiutare la proposta delle istituzioni e a indire il referendum. Ma oggi non vince solo la Grecia, vince l’Europa intera. La vera tragedia sarebbe stata una vittoria del sì, che avrebbe ulteriormente peggiorato la crisi della Grecia, spianato la strada ai partiti antieuropeisti e finito per disintegrare – in questo caso per davvero – l’eurozona. Ora invece possiamo tornare a sperare nella possibilità di una soluzione sostenibile per la Grecia. E, dunque, in un futuro per la moneta unica. Ma solo a patto che l’Europa si faccia un esame di coscienza e impari dai propri errori.
Molti invece temono che a questo rappresenti il primo passo verso il Grexit…
Si tratta di una supposizione del tutto infondata. Oggi lo stesso Schäuble ha ribadito che quello di oggi non era un voto sull’euro, smentendo tra l’altro le dichiarazioni fatte negli ultimi giorni da Juncker, Sigmar Gabriel, Hollande e Renzi, che si sono mostrate per quello che erano: pura e semplice propaganda. E comunque, anche se la Germania volesse cacciare la Grecia dall’euro, non esiste alcuna procedura legale per farlo.
Possiamo dire che quella che lei nei giorni scorsi ha definito «la strategia di destabilizzazione della BCE» è fallita?
Mi pare evidente. L’establishment europeo – e in particolare la BCE – ha usato tutte gli strumenti in suo possesso per influenzare l’esito del voto, fino ad istigare una corsa agli sportelli e una crisi bancaria. Hanno cercato di terrorizzare un’intera popolazione, perché una popolazione impaurita è più facile da manipolare. Ma si è rivelato un boomerang: la gente ha capito quello che stava succedendo e si è infuriata ancora di più. Alla fine l’ingerenza della BCE ha dato ai greci un motivo in più per dire no.
In questi giorni si è parlato molto del fatto che in caso di vittoria del no, la BCE avrebbe imposto prelievi forzosi sui conti correnti greci. Pensa che sia un rischio reale?
Nel torrente di minacce che sono state rivolte contro la Grecia in queste settimane è difficile distinguere le minacce vere da quelle false. Basti pensare alla minaccia secondo cui il no rappresentava un voto contro l’euro, puntualmente ritirata dopo qualche giorno dallo stesso Schäuble, come abbiamo visto. Non so dire, quindi, se questa minaccia sia vera o meno. Ad ogni modo, va detto che le stesse regole europee prevedono il bail-in solo per i depositi sopra i 100,000 euro. Per imporre perdite anche ai conti correnti sotto quella cifra, la BCE dovrebbe varare una misura ad hoc. Ma in quel caso saremmo di fronte al primo caso nella storia di una banca centrale che usa il proprio potere per distruggere un paese. Sarebbe un fatto che delegittimerebbe completamente l’istituzione, credo.
Che ruolo hanno giocato gli Stati Uniti in tutta questa vicenda?
Un ruolo importante credo. Il Congresso degli Stati Uniti ha esplicitamente fatto appello al Fondo monetario internazionale affinché assumesse un atteggiamento più conciliatorio nei confronti della Grecia. E non mi sorprenderei se dietro alla pubblicazione dei dossier dell’FMI sull’insostenibilità del debito greco – che come sappiamo le istituzioni europee avevano cercato di tenere segreti – ci fosse lo zampino di Obama. Il problema è che il Fondo monetario è un’istituzione molto “europea”. La Lagarde è francese, il capo del dipartimento europeo, Thomsen, è un danese. Staremo a vedere se in seguito all’esito del referendum il Fondo ammorbidirà la sua posizione. È impossibile prevedere l’ottusità di queste istituzioni.