da uno dei nostri inviati ad Atene
Panagiotis Vlachos è un giovane imprenditore greco e leader di Forward Greece, un movimento politico che si definisce “progressista e filoeuropeo”. È anche uno dei promotori della campagna per il Sì al referendum che si tiene oggi in Grecia.
Vlachos, lei si definisce un progressista ma sostiene la campagna per il sì. Una vittoria del sì, però, significherebbe la continuazione delle politiche di austerità perseguite in questi anni, che di progressista hanno ben poco. Non la vede come una contraddizione?
No. Il referendum di oggi non è un referendum pro o contro l’austerità. Tsipras ha già accettato di continuare l’austerità, basta vedere la sua ultima controfferta inviata alle istituzioni. Ciò per cui si vota oggi è se Tsipras sarà costretto a tornare al tavolo dei negoziati per fare ciò per cui è stato eletto, ossia trovare un accordo all’interno della cornice dell’euro (in caso di vittoria del sì); o se invece sarà legittimato a continuare il testa a testa con le istituzioni che ci ha portato nella situazione in cui ci troviamo ora (in caso di vittoria del no). Questo avrebbe conseguenze devastanti per il paese, di cui abbiamo avuto un assaggio in questi giorni.
Tsipras però ha detto di non voler portare la Grecia fuori dall’euro.
È vero, e penso che sia sincero. Ma penso anche che Tsipras – e in generale i sostenitori del no – non si rendano conto della reazione a catena che potrebbe innestarsi a partire da domani in caso di vittoria del no. Già sappiamo che continueranno i controlli di capitale. Si vocifera di prelievi forzati sui conti. Può darsi che la BCE terrà le banche in piedi per un altro po’. Ma non appena la Grecia salterà la prima rata nei confronti della banca centrale, il 20 luglio – il che è inevitabile, visto che i soldi non ci sono – questa chiuderà quasi senz’altro i rubinetti. E a quel punto un’uscita sarà quasi inevitabile. La verità è che oggi il paese sceglierà se rimanere nella sfera del mondo occidentale e continuare a battersi per migliorare se stessa all’interno dell’Europa, o se avviarsi sulla strada dell’isolamento, dell’umiliazione e della miseria. Mettere in discussione il cordone ombelicale che lega la Grecia all’Europa è molto pericoloso. L’Europa è la nostra casa ed è solo al suo interno che possiamo sperare di cambiare il nostro paese in meglio.
Lei sostiene che in caso di vittoria del sì Tsipras sarà costretto a tornare al tavolo dei negoziati “a testa bassa”. Ma molti, in caso di sconfitta, pronosticano le sue dimissioni.
Non credo che Tsipras darà le dimissioni se vince il sì, anche perché non c’è nessuno di credibile che possa sostituirlo. Difficilmente il popolo greco accetterà un altro governo tecnocratico. Può darsi che ci sarà un rimpasto, Varoufakis probabilmente se ne andrà. Ma credo che Tsipras rimarrà al suo posto. O almeno mi auguro che lo faccia. Così come non è vero che tutti quelli che voteranno no sono sostenitori di Tsipras, non è neanche vero che tutti quelli che voteranno sì vogliono mandarlo a casa. Tra gli elettori del sì ci sono anche degli elettori di Syriza. Molti si rendono conto che Tsipras è un politico più onesto di quelli con cui abbiamo avuto a che fare negli ultimi anni. Nessun vuole un ritorno al vecchio ordine politico. Ma il punto è che Tsipras è stato eletto con un chiaro mandato elettorale: raggiungere un accordo con l’Europa tenendo la Grecia dentro l’euro. Se in questi cinque mesi ha fallito nella sua missione, dovrebbe assumersene la responsabilità. Chiedere ai cittadini di sobbarcarsi questo ulteriore fardello, dopo tutto quello che hanno sofferto, è inaccettabile. La verità è che il referendum non si sarebbe mai dovuto tenere. In caso di vittoria del sì Tsipras deve tornare subito al tavolo dei negoziati.