Il rapporto tra l’integrazione europea e i referendum popolari è sempre stato parecchio complicato. A partire dagli anni Settanta, gli stati membri della CE/UE hanno organizzato una serie di referendum sull’Europa, ma molti sono andati a finire piuttosto male. Alcuni sono stati vinti dagli oppositori dell’integrazione europea, altri sono stati vinti dai suoi sostenitori con maggioranze molto risicate: anche per questo, il grado di sostegno popolare per l’integrazione europea è stato spesso messo in discussione, e si è parlato molto del deficit di democraticità dell’Unione europea.
Il primo referendum sull’integrazione europea fu organizzato dalla Francia nel 1972. L’idea del presidente della Repubblica Georges Pompidou, che promosse la consultazione, era sancire con un voto popolare la sua scelta di allargare la Comunità europea al Regno Unito, aprendo così a una nuova fase dell’integrazione europea. L’allargamento della CEE fu approvato a larga maggioranza dagli elettori, ma il risultato del referendum fu comunque visto come una seria sconfitta per Pompidou, che ci aveva investito molto capitale politico: andò a votare solo il 60 percento degli aventi diritto, una percentuale molto bassa per l’epoca.
Tre anni dopo, nel Regno Unito si tenne un referendum sulla permanenza del Paese nella CEE, dopo una rinegoziazione dei termini britannici di adesione. Vinsero i Sì, ma non fu un segnale politico rassicurante: a oggi, quello britannico del 1975 rimane l’unico referendum che ha messo apertamente in discussione la linearità del processo di integrazione europea. Dimostrò infatti che l’adesione alla CEE non era un processo irreversibile, perché uno stato membro poteva decidere di uscire dalla Comunità.
Il trattato di Maastricht, che istituì l’Unione europea nel 1993, rappresentò una delle più grosse svolte per l’integrazione europea. Gli accordi furono sottoposti a referendum in Irlanda, Francia e Danimarca. Nel primo caso furono approvati senza problemi, mentre in Francia la maggioranza dei Sì fu appena del 51 percento. In Danimarca il trattato di Maastricht venne invece bocciato dagli elettori: quella danese fu, nella storia della CE/UE, la prima sconfitta in un voto popolare per un progetto di rafforzamento dell’integrazione europea. Gli elettori danesi approvarono il trattato di Maastricht l’anno successivo, dopo la concessione di alcune condizioni speciali al loro Paese.
Un ulteriore rafforzamento dell’integrazione venne bocciato dagli elettori danesi nel 2000, chiamati a decidere sull’adesione della Danimarca all’euro, che sarebbe stato introdotto poco più di un anno dopo. L’adesione all’euro fu bocciata anche dagli elettori svedesi in un referendum tenutosi nel 2003. A oggi, quello danese e quello svedese sono gli unici referendum che sono stati organizzati nell’UE a proposito dell’adesione di un Paese all’euro.
Per ragioni costituzionali, l’Irlanda è lo stato membro che ha organizzato più referendum sulle questioni europee. I successivi rafforzamenti dell’integrazione europea furono sempre approvati fino al 2001, quando gli elettori bocciarono la ratifica del trattato di Nizza. Furono negoziate delle condizioni speciali per l’Irlanda, e l’anno successivo un nuovo referendum ratificò il trattato. Una situazione simile si ripeté nel 2008, quando gli elettori irlandesi bocciarono il trattato di Lisbona: un nuovo referendum fu organizzato l’anno successivo, e il trattato venne ratificato.
La più grave sconfitta referendaria per i sostenitori di una maggiore integrazione europea fu quella subita nel 2005 in Francia e nei Paesi Bassi, che determinò l’abbandono del progetto di dotare l’UE di una “Costituzione”. Il 55% dei francesi e il 62% degli olandesi votò contro il trattato costituzionale: fu una sconfitta particolarmente grave non solo per la portata politica e simbolica dell’oggetto del referendum, ma anche perché fu il primo – e finora unico – caso in cui un rafforzamento dell’integrazione europea è stato bocciato dai cittadini di due stati fondatori dell’Unione.